Crisi climatica, verso un riscaldamento di 3,1 °C. ONU: “Giochiamo col fuoco, il tempo è scaduto”
Come ogni anno, all'approcciarsi nella nuova Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la COP29 che si terrà a Baku (Azerbaijan) tra l'11 e il 22 novembre 2024, vengono presentati i risultati di nuovi studi dedicati non solo al drammatico impatto del riscaldamento globale, ma anche alle misure che possiamo e dobbiamo intraprendere per mitigarne gli effetti. Non a caso la crisi climatica è considerata la principale minaccia esistenziale per l'umanità intera, col rischio che la nostra civiltà possa addirittura crollare nel giro di un paio di decenni. La finestra temporale per intervenire è sempre più ristretta e dunque non c'è da stupirsi che sia richiesto un taglio drastico e repentino alle emissioni di CO2 (anidride carbonica) e altri gas climalteranti legati alle attività umane, principale volano del cambiamento climatico.
Se alla COP28 erano stati fatti timidissimi passi in avanti, la COP29 deve essere un trampolino di lancio essenziale per la COP30 che si terrà in Brasile nel 2025, durante la quale i Paesi firmatari saranno tenuti a presentare i cosiddetti contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions o NDC) sul taglio delle emissioni di carbonio. In parole semplici si tratta dei piani dettagliati con le misure da intraprendere per abbattere l'uso dei combustibili fossili, agevolare la transizione ecologica e raggiungere lo zero netto con le emissioni. L'obiettivo fissato è sempre quello virtuoso della COP del 2015 tenutasi a Parigi, durante la quale è stato deciso di non superare un riscaldamento di 2 °C rispetto all'epoca preindustriale, ma meglio di 1,5 °C.
Il target di 1,5 °C è diventato successivamente quello più prezioso per gli scienziati; oltre questa soglia, infatti, ci attendono le conseguenze più drammatiche e irreversibili della crisi climatica, da un devastante innalzamento del livello del mare (in grado di sommergere intere città, isole e regioni costiere) alla perdita di biodiversità senza precedenti, passando per gravissima siccità, incendi catastrofici, carestie, diffusione delle malattie tropicali e soprattutto migrazioni mai viste nella storia dell'umanità. Sarebbero tali da innescare guerre globali per le risorse e il territorio, dato che una buona parte della Terra diventerà sterile e di fatto invivibile.
Rischiamo seriamente questo scenario apocalittico nel prossimo futuro, ma possiamo ancora scongiurarlo. È in questo contesto che l'UNEP (UN Environment Programme) pubblica periodicamente il suo nuovo rapporto, con i dati relativi all'avanzamento della crisi climatica e i passi da intraprendere per fermarla. Nel 2024 è stato chiamato "Emissions Gap Report 2024: No more hot air… please!". La cattiva notizia è che con gli attuali programmi di mitigazione rischiamo un riscaldamento compreso tra 2,6 e 3,1 °C entro la fine del secolo. Siamo praticamente oltre il doppio del target virtuoso di 1,5 °C. Le conseguenze su salute umana, tenuta degli equilibri ecosistemici, biodiversità, disponibilità di risorse idriche e alimentari – giusto per citare alcuni dei fattori coinvolti – sarebbero assolutamente catastrofiche, facendoci precipitare nell'apocalisse climatica di cui sopra. Per evitare di finire in questo baratro di dolore e sofferenza, dobbiamo agire subito e tagliare immediatamente le emissioni di gas serra, responsabili dell'incremento delle temperature dalla rivoluzione industriale, come ha più volte sottolineato a Fanpage.it il dottor Mario Tozzi. “Stiamo giocando col fuoco; ma non si può più giocare col tempo. Abbiamo finito il tempo”, ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Non possiamo più tergiversare.
Al momento, il traguardo di contenere il riscaldamento entro 1,5 °C sembra fuori portata; basti sapere che, per la prima volta, a gennaio 2024 sono stati rilevati i primi 12 mesi consecutivi con temperature superiori a 1,5 °C rispetto all'epoca preindustriale. Ci vorrà ancora del tempo per “fissare” questa situazione, ma non mancherebbe molto secondo alcuni scienziati (si pensa già nel 2029). Il target, comunque, per molti altri sarebbe ancora alla portata, come spiegato dall'UNEP. Per riuscirci i Paesi del mondo – e in particolar modo i grandi emettitori del G20 – devono tagliare le emissioni di CO2 del 42 percento entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2019) e del 57 percento entro il 2035. Per evitare un riscaldamento di 2 °C i tagli dovrebbero essere leggermente inferiori; del 28 percento entro il 2030 e del 37 percento entro il 2035. Secondo l'UNEP i contributi determinati a livello nazionale (NDC) dei Paesi devono essere adeguati con questi obiettivi affinché si raggiunga l'obiettivo dello zero netto entro il 2050; pena, un riscaldamento fino a oltre 3 °C con conseguenze devastanti per l'intera umanità e l'ambiente.
Non è un traguardo facile, considerando che le emissioni di gas serra sono aumentate dell'1,3 ogni anno fino ad arrivare alle 57,1 gigatonnellate di CO2 equivalente registrate nel 2023. In pratica, per centrare l'obiettivo di contenere un riscaldamento di 1,5 °C le emissioni devono essere ridotte del 7,5 percento ogni anno, per quello di 2,0 °C del 4 percento. “Ogni frazione di grado evitato conta in termini di vite salvate, economie protette, danni evitati, biodiversità preservata e capacità di ridurre rapidamente qualsiasi superamento della temperatura”, spiega l'UNEP.
Come raggiungere questo obiettivo? Puntando fortemente sulle energie rinnovabili come solare (fotovolatico), eolica e geotermica. Fino al 27 percento della riduzione delle emissioni potrebbe essere ottenuto con un maggiore utilizzo di queste tecnologie entro il 2030 e fino al 38 percento entro il 2035. Se ciò non bastasse, la preservazione delle foreste – gli alberi sono grandi bioaccumulatori di CO2 – aiuterebbe a ridurla di un ulteriore 20 percento per ogni anno. Ma non tutti vogliono impegnarsi su questi fronti. “La cosa irritante è che la tecnologia è lì per essere afferrata, così come lo sono le opportunità di lavoro e di sviluppo economico”, ha spiegato Inger Andersen, a capo dell'UNEP. “Ci vuole solo coraggio politico e una leadership forte”, ha chiosato lo scienziato. Un prezioso contributo, sottolinea l'UNEP, arriverà dall'elettrificazione dai settori trasporti, edilizia e industria. Ricordiamo che nell'UE dal 2035 le auto nuove potranno essere solo elettriche. Per raggiungere questi target servono misure di mobilitazione globale simili a quelle che sarebbero impiegate dopo grandi conflitti, tuttavia l'investimento sarebbe compreso tra 0,9 e 2,1 trilioni di dollari USA, una piccola percentuale dei 110 trilioni di valore dell'economia globale e dei mercati finanziari ogni anno.