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Covid 19

Covid, il coronavirus sta mutando tre volte più velocemente nei cervi: i rischi per l’uomo

Un team di ricerca internazionale ha dimostrato che il coronavirus SARS-CoV-2 nei cervi sta mutando molto più rapidamente che nell’essere umano. In futuro il patogeno potrebbe sviluppare mutazioni in grado di eludere l’immunità di vaccini e infezioni pregresse. Quali sono i rischi dello “spillback”
A cura di Andrea Centini
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Uno studio condotto dagli scienziati degli Istituti di Scienze della Vita “Huck” dell'Università Statale della Pennsylvania condotto alla fine del 2021 aveva fatto una scoperta sconcertante sulla diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 nei cervi. Oltre l'80 percento degli esemplari di cervo dalla coda bianca o cervo della Virginia (Odocoileus virginianus) dell'Iowa sottoposto al test era infatti risultato positivo al patogeno responsabile della pandemia di COVID-19, un numero enorme che ancora oggi lascia perplessi gli scienziati. Il virus è infatti pienamente diffuso nelle popolazioni di questi ungulati, ma ancora oggi non si conoscono bene le ragioni che hanno portato a una diffusione così capillare.

È chiaro che il virus è stato trasmesso dall'uomo: si sa solo che il contatto più frequente con questi animali è legato alla caccia, seguito da incontri casuali in natura e in ambienti controllati (animali in cattività). L'unica certezza è che in qualche modo siamo riusciti a trasmettere il patogeno ai cervi e ora il virus che si replica nel loro organismo sta mutando, a una velocità che preoccupa i ricercatori. Il rischio, infatti, è che il SARS-CoV-2 possa evolvere a tal punto da diventare completamente elusivo all'immunità garantita dalle precedenti infezioni naturali e vaccinazioni, determinando nuove ondate di Covid grave.

A condurre la nuova indagine è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del College di Medicina Veterinaria dell'Università Statale dell'Ohio, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Centro nazionale per le informazioni sulle biotecnologie dei National Institutes of Health, del Dipartimento di Microbiologia dell'Università di Lovanio (Belgio), del Dipartimento di malattie infettive – St Jude Children's Research Hospital e di altri istituti. I ricercatori, coordinati dal professor Andrew S. Bowman, docente presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria Preventiva dell'ateneo dell'Ohio, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato l'evoluzione del coronavirus SARS-CoV-2 in alcune decine di esemplari di cervo dalla coda bianca positivi. Analizzando la storia genetica del virus hanno osservato che nel periodo compreso tra novembre 2021 e marzo 2022 l'uomo ha trasmesso il patogeno ai cervi una trentina di volte. Il virus, che non provoca una malattia grave in questi animali, è persistito nei cervi dai 2 agli 8 mesi e si è diffuso da un cervo all'altro per centinaia di chilometri.

L'aspetto più interessante della ricerca risiede nella velocità con cui il patogeno sta mutando in questi animali, con cambiamenti nel codice genetico tre volte più rapidi di quelli che si verificano nell'uomo. “Metodi filogenetici bayesiani di recente sviluppo hanno quantificato come l’evoluzione del SARS-CoV-2 non solo sia tre volte più veloce nel cervo dalla coda bianca rispetto al tasso osservato negli esseri umani, ma che sia anche guidata da diversi pregiudizi mutazionali e pressioni selettive”, scrivono gli scienziati nell'abstract dello studio. Fortunatamente al momento non sono state osservate mutazioni tali in grado di pregiudicare la protezione dei vaccini anti Covid. Test condotti con campioni protetti dai più recenti vaccini hanno neutralizzato efficacemente questi virus "super mutati" nei cervi. Ma non si può escludere che in futuro il patogeno possa mutare a tal punto da sorpassare questa immunità e, in caso di passaggio inverso dal cervo all'uomo – un fenomeno che gli epidemiologi chiamano spillback – possano scatenarsi epidemie di Covid severa.

“Non sono così preoccupato se oggi si verificasse un evento di trasmissione dal cervo all’uomo. È più preoccupante se il virus continuasse ad evolversi allontanandosi da ciò che circola oggi negli esseri umani, e tra cinque, 10 o 20 anni ci fosse un virus circolante nella popolazione di cervi verso la quale gli esseri umani sono immunologicamente non protetti, quindi può trasmettersi e causare malattie”, ha dichiarato al Time il professor Bowman. I dettagli della ricerca “Accelerated evolution of SARS-CoV-2 in free-ranging white-tailed deer” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Communications.

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