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Covid 19

Covid associato a un rischio superiore di Alzheimer, secondo un nuovo studio

Un team di ricerca internazionale ha trovato un’associazione tra l’infezione da coronavirus SARS-CoV-2 e il rischio di Alzheimer. Nel sangue dei pazienti Covid, infatti, sono stati trovati alti livelli di biomarcatori associati alle placche di beta amiloide nel cervello.
A cura di Andrea Centini
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I ricercatori hanno identificato un'associazione tra il rischio di Alzheimer e la COVID-19, la malattia provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della recente pandemia. In parole semplici, essere infettati dal virus potrebbe aumentare il rischio di sviluppare la patologia neurodegenerativa, la principale forma di demenza che colpisce decine di milioni di persone nel mondo. Sono cifre elevate destinate a triplicare entro il 2050, secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Alla luce dell'impatto sanitario, sociale ed economico del morbo di Alzheimer e della diffusione globale del SARS-CoV-2, tale associazione rappresenta sicuramente un campanello d'allarme da non sottovalutare per gli esperti. È comunque doveroso sottolineare che nello studio non è stato dimostrato alcun rapporto di causa – effetto tra l'infezione e il rischio di demenza, dato che siamo innanzi a un'indagine osservazionale.

A trovare un'associazione tra Covid e aumento del rischio di Alzheimer è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati britannici dello UK Dementia Research Institute Centre e del Dipartimento di Scienze del Cervello dell'Imperial College di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di vari istituti. Fra quelli coinvolti il Dipartimento di Psichiatria e Neurochimica – Istituto di Neuroscienze e Fisiologia dell'Università di Goteborg (Svezia), il Dipartimento di Salute della Popolazione "Nuffield" dell'Università di Oxford e altri istituti. I ricercatori, coordinati dal professor Eugene Duff, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato specifici biomarcatori nel sangue di oltre 1.250 persone (tra i 46 e gli 80 anni) i cui dati clinici erano caricati nella UK Biobank, uno dei database sanitari più preziosi e completi per la ricerca scientifica.

Più nello specifico, il professor Duff e colleghi sono andati a caccia di biomarcatori legati alle placche di beta amiloide, proteine “appiccicose” che assieme ai grovigli di tau sono fortemente associate all'Alzheimer. Non a caso l'anticorpo monoclonale Donanemab che le prende di mira può rallentare del 35 percento il declino cognitivo, se somministrato precocemente. Nonostante questo stretto legame, il reale rapporto tra demenza e placche di beta amiloide non è ancora chiaro. Ad esempio, non è noto se il loro accumulo nel cervello sia la causa della demenza – determinando la morte dei neuroni – oppure se si tratti di una manifestazione fisiologica della malattia.

Ciò che è certo è che queste proteine che si accumulano nel tessuto cerebrale giocano un ruolo significativo nella patologia. Mettendo a confronto i dati dei biomarcatori associati alla beta amiloide tra pazienti che avevano avuto la Covid e coloro che non erano stati infettati, è emerso che i primi avevano maggiori probabilità di avere livelli elevati di molecole associate all'Alzheimer. Dai calcoli è stato determinato che l'effetto dell'infezione del SARS-CoV-2 era paragonabile a un invecchiamento di quattro anni. I pazienti che erano stati ricoverati per Covid grave e quelli che avevano fattori di rischio legati alla demenza avevano le concentrazioni più elevate di questi biomarcatori. Anche la Covid lieve e moderata potrebbe comunque mettere in moto i processi patologici associati alla demeza.

“I nostri risultati suggeriscono che la COVID-19 potrebbe causare cambiamenti che contribuiscono alla malattia neurodegenerativa. Pensiamo che ciò possa essere dovuto all'infiammazione innescata dalla malattia, sebbene non sia ancora del tutto chiaro come questa infiammazione possa avere un impatto sul cervello e sui cambiamenti nell'amiloide”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Duff. “Non possiamo dire che contrarre il virus SARS-CoV-2 causi direttamente questi cambiamenti, o se lo fa, di quanto un singolo episodio di infezione aumenti il rischio di qualcuno. Ma i nostri risultati suggeriscono che la COVID-19 potrebbe aumentare il rischio di Alzheimer in futuro, come è stato suggerito in passato per altri tipi di infezioni, specialmente tra le persone con fattori di rischio preesistenti”, ha chiosato l'esperto. Lo stesso tipo di rischio potrebbe essere infatti innescato da altre infezioni, come ad esempio l'influenza e l'herpes, che precedenti studi avevano già associato alle patologie neurodegenerative.

Come indicato, siamo innanzi a un “semplice” studio osservazionale, pertanto non possono essere determinati rapporti di causa – effetto, ma i risultati restano comunque significativi, al netto della validità clinica dei biomarcatori ancora da determinare. I dettagli della ricerca “Plasma proteomic evidence for increased β-amyloid pathology after SARS-CoV-2 infection” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Medicine.

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