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Così possiamo sapere quanto è grave un’allergia alimentare

La gravità delle allergie varia da persona a persona ma ad oggi non esiste un test per distinguere chi rischia reazioni allergiche gravi e potenzialmente fatali.
A cura di Valeria Aiello
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Quella alle arachidi e alla frutta a guscio è una delle allergie alimentari più pericolose. Credit: Piviso/Pixabay
Quella alle arachidi e alla frutta a guscio è una delle allergie alimentari più pericolose. Credit: Piviso/Pixabay

Le allergie alimentari, che si presentano dopo aver ingerito certi cibi o bevande, possono manifestarsi con diversi sintomi, la cui gravità varia da persona a persona. In alcuni casi, può bastare anche una piccola quantità di un certo alimento per provocare una reazione, a partire da una leggera irritazione fino ad arrivare all’anafilassi (shock anafilattico), cioè la reazione allergica grave che può anche portare al decesso.

Fra le allergie alimentari più comuni ci sono quelle al latte, alle uova, alla frutta a guscio e ai crostacei, ma ad oggi non esiste un test standard per sapere se una persona rischia o meno reazioni allergiche gravi e potenzialmente fatali. Un team di ricerca dell’Ann & Robert H. Lurie Children’s Hospital di Chicago (Stati Uniti) è però riuscito a identificare un biomarcatore genetico che potrebbe essere utile a prevedere la gravità delle allergie alimentari.

Si tratta di un’isoforma proteica di un enzima, chiamata α-triptasi, una versione che presenta alcune piccole differenze e che gioca un ruolo fondamentale nelle reazioni allergiche: questa isoforma, indicano gli studiosi in un nuovo studio pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology, risulta essere correlata a una maggiore prevalenza di anafilassi o gravi reazioni allergiche agli alimenti.

Determinare se un paziente con allergie alimentari ha o meno l’α-triptasi può essere facilmente effettuato nella pratica clinica utilizzando un test disponibile in commercio per eseguire il sequenziamento genetico della saliva, dai tamponi effettuati all’interno della guancia – ha affermato l’autore principale dello studio, il dottoor Abigail Lang, medico e ricercatore presso il Lurie Children’s e assistente professore di Pediatria presso la Feinberg School of Medicine della Northwestern University – . Se il biomarcatore viene rilevato, questo può aiutarci a capire che la persona corre un rischio maggiore di reazione grave o anafilassi dovuta all’allergia alimentare”.

La triptasi si trova principalmente nei mastociti, che sono globuli bianchi che fanno parte del sistema immunitario e si attivano durante le reazioni allergiche. Da precedenti ricerche era già noto che l’aumento del numero di copie del gene dell’α-triptasi, il TPSAB1 – che porta ad un aumento di questa isoforma enzimatica – è associato a reazioni gravi negli adulti con allergia al veleno degli imenotteri (o anafilassi a seguito di punture di api, vespe e calabroni), ma la nuova analisi ha mostrato l’α-triptasi è associata anche a una maggiore prevalenza di anafilassi innescata dagli alimenti.

Lo studio ha incluso 119 partecipanti, per i quali gli studiosi hanno valutato le differenze nel genotipo in relazione alla triptasi, di cui 82 provenienti da un gruppo di osservazione sulle allergie alimentari del National Institute of Allergy and Infectious Disease (NIAID) degli Stati Uniti e 37 pazienti pediatrici che avevano mostrato allergie alimentari in un test orale con arachidi presso il Lurie Children’s Hospital. In entrambi i gruppi, gli studiosi hanno rilevato una correlazione tra la presenza di α-triptasi e una maggiore prevalenza di anafilassi o reazione grave al cibo rispetto ai partecipanti senza α-triptasi.

I risultati, sebbene preliminari, sono molto promettenti, in quanto mostrano per la prima volta una strategia utile alla ricerca delle forme gravi di allergia alimentare. “Dovranno essere convalidati in studi più ampi, ma possono aiutarci a capire chi corre un rischio maggiore di reazione grave o anafilassi da allergia alimentare, aprendo anche la strada allo sviluppo di un approccio di trattamento completamente nuovo, che mirerebbe o bloccherebbe l’α-triptasi – ha aggiunto il dottor Lang – . Questo è un primo passo entusiasmante e sono necessarie ulteriori ricerche”.

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