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Così il nostro cervello può marcire mentre guardiamo i social: lo psicologo spiega cos’è il brain rot

È “brain rot” la parola dell’anno secondo gli esperti di Oxford: questo termine, che letteralmente significa “cervello marcio”, oggi ha acquistato una nuova attualità, in quanto si ricollega all’uso incontrollato dei social. Secondo lo psicologo “guardare continuamente video banali allena la mente a processare solo stimoli semplici e veloci”.
Intervista a Giuseppe Lavenia
Psicologo e presidente dell'Associazione nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo).
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Sei appena tornato a casa da lavoro o da scuola, ti butti sul letto o sul divano e apri un social a caso. Inizi a scrollare storie, reel, video divertenti (almeno apparentemente) e passano i minuti, a volte anche le ore. Non ti senti più riposato, al massimo provi una sensazione confusa tra l'alienazione e la noia. Ecco, questa condizione è diventata così comune che i linguisti dell‘Università di Oxford hanno eletto il termine che in inglese descrive questo stato parola dell'anno. Si dice "brain rot". Il termine, che letteralmente significa "cervelo marcio", in realtà non è nuovo, è stato infatti introdotto più di un secolo fa, a fine ‘800. Oggi, nell'era dell'ipercondivisione – quasi sempre "di facciata", non autentica – generata dall'uso totalizzante dei social, ha acquistato un significato nuovo.

I linguisti di Oxford lo definiscono così: "Il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, come risultato del consumo eccessivo di materiale (ora in particolare contenuti online) considerato banale o non impegnativo" o "qualcosa tale da ritenere probabile che porti a tale deterioramento mentale”. Ora, oltre al chiaro messaggio di critica sociale che questa scelta incarna, la domanda che sorge spontanea è: davvero scrollare sui social può deteriorare le nostre capacità mentali e intellettive? Fanpage.it lo ha chiesto a Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell'Associazione nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo).

In che modo la visualizzazione di video o reel banali possono “far marcire il cervello”?

La parola “brain rot” fotografa bene un fenomeno che riguarda tutti noi: quando ci nutriamo di contenuti vuoti, privi di significato o di stimoli autentici, il nostro cervello si adatta al ribasso. È come alimentarsi solo di cibo spazzatura: nell’immediato soddisfa, ma alla lunga impoverisce. Così guardare continuamente video banali allena la mente a processare solo stimoli semplici e veloci, riducendo la nostra capacità di pensare in modo critico e creativo.

In che modo il brain rot si collega alla trappola dello scrolling incontrollato?

Ogni scroll è un clic su un “interruttore mentale”: ogni volta che passiamo da un contenuto a un altro il nostro cervello riceve una microdose di dopamina, il neurotrasmettitore della gratificazione. (Vi lasciamo qui un nostro approfondimento sul funzionamento della dopamina). Questo ci spinge a cercarne ancora e ancora, ma senza approfondire o soffermarci.

Quali possono essere le conseguenze?

Alla lunga, questa abitudine compromette la capacità di concentrazione e la memoria. Questo può renderci sempre più distratti, meno capaci di leggere un libro, seguire un discorso complesso o lavorare su qualcosa che richiede tempo e impegno.

Sul piano emotivo?

Oltre a perdere l'attenzione e la profondità con cui viviamo le nostre esperienze quotidiane, a livello emotivo il rischio è ancora maggiore: il tempo speso a scorrere contenuti ci toglie spazio per relazioni vere, attività che potrebbero essere appaganti e momenti di autentico benessere. Inoltre, questo comportamento può alimentare una sensazione di vuoto e insoddisfazione, spingendoci a cercare sempre più stimoli digitali, creando così una sorta di circolo vizioso.

Perché siamo portati a guardare per ore contenuti di cui spesso nemmeno ci interessa?

Le piattaforme digitali sono progettate per tenerci incollati allo schermo. Gli algoritmi ci propongono contenuti che, anche se non ci interessano davvero, stimolano i nostri impulsi più immediati: curiosità, sorpresa, confronto. In pratica, veniamo attratti non dal valore del contenuto, ma dalla facilità con cui possiamo accedervi e consumarlo. È come entrare in un negozio di caramelle: non tutte ci piacciono, ma la varietà e la possibilità di provarle senza sforzo ci spingono a continuare.

Questi rischi riguardano solo i giovani o anche gli adulti?

Riguardano tutti. I giovani sono più esposti perché crescono in un mondo dove lo scrolling è una normalità ma anche gli adulti sono vulnerabili. Ma i giovani sono più esposti a rischi, in quanto il loro cervello è ancora in fase di sviluppo: la loro capacità di autoregolarsi, di concentrarsi e di costruire abitudini sane rischia di essere compromessa in modo più profondo.

Cosa possiamo fare per disincentivare quest’abitudine?

Dobbiamo recuperare il controllo sul nostro tempo e sulle nostre scelte. Non possiamo delegare tutto agli algoritmi, dobbiamo essere noi a stabilire i confini. Esistono alcune pratiche che possono aiutarci a farlo: limitare il tempo passato sui social, anche con strumenti di monitoraggio, alternare attività digitali con momenti offline che ci permettano di ricaricarci e rilassarci in modo sano e riservare ogni giorno del tempo per attività che richiedono concentrazione, come la lettura, lo sport o una conversazione profonda.

I genitori che notano questi comportamenti nei figli adolescenti come possono reagire?

Non possiamo chiedere ai nostri figli di limitare l’uso degli schermi se non diamo il buon esempio. Serve un’educazione quotidiana alla consapevolezza digitale, che inizi dai piccoli gesti: spegnere il telefono durante i pasti, scegliere un libro al posto di un video, ascoltare davvero chi ci sta accanto. È un cambiamento possibile ma richiede impegno e costanza.

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