Cos’è uno tsunami, come si forma e perché il Giappone è così esposto al pericolo
Attorno alle 08:10 ora italiana di lunedì 1 gennaio 2024 (le 16:10 ora locale) una violentissima scossa di terremoto di magnitudo 7.5 – seguita da una di magnitudo 6.2 – si è verificata innanzi alla costa occidentale del Giappone, nel cuore dell'isola di Honshu, nella prefettura di Ishikawa. Si è trattato del più forte sisma registrato nell'area dalla fine del XIX secolo. A seguito dell'evento le autorità nipponiche hanno immediatamente diramato un'allerta tsunami, che è stata estesa anche alle località costiere della Russia orientale dal ministero russo per le Emergenze. I cittadini delle comunità coinvolte sono stati invitati a evacuare il più rapidamente possibile, a causa di “onde altissime che si stanno dirigendo verso la costa”, come indicato nell'annuncio diffuso dalla televisione giapponese statale NHK. Si temono onde di maremoto alte fino a 5 metri che potrebbero colpire ripetutamente; il rischio è stato esteso per un arco di 24 ore.
Le prime onde alte di 1,20 metri hanno investito la città di Wajima circa 10 minuti dopo il terremoto principale, mentre un'onda di circa 50 centimetri ha raggiunto la Corea del Sud. Onde alte 3 metri avrebbero già colpito diverse località nell'area a maggior rischio. Nel momento in cui stiamo scrivendo non è ancora chiara l'entità dei danni e il numero delle vittime provocati dalla combinazione di sismi e tsunami, ma iniziano a circolare immagini di edifici crollati, strade e infrastrutture devastate da crepe enormi. Ci sono decine di migliaia di case senza elettricità e si sono sviluppati gravi incendi. Un numero imprecisato di persone si trova sotto le macerie a Noto. Ma cos'è esattamente uno tsunami? E perché il Giappone è uno dei Paesi più colpiti da questo impressionante fenomeno naturale?
Cos'è uno tsunami
Come spiegato dall'Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia (INGV), uno tsunami (o maremoto) è un fenomeno caratterizzato da una serie di onde anomale “causate dallo spostamento improvviso di grandi masse di roccia o sedimenti”. La principale causa scatenante di uno tsunami è un terremoto, dato che coinvolge circa l'80 percento dei casi. Ma anche eruzioni vulcaniche, frane e l'impatto di corpi celesti come asteroidi e comete possono provocare maremoti più o meno intensi. Uno studio condotto dall’Università del Michigan, ad esempio, ha calcolato che l'asteroide Chicxulub di circa 10 chilometri – responsabile dell'estinzione dei dinosauri non aviani 66 milioni di anni fa alla fine del Cretaceo – dopo essere precipitato al largo dell'attuale Penisola dello Yucatan (Messico) generò un'onda di tsunami principale alta 1.500 metri, che si propagò sulla terraferma alla mostruosa velocità di oltre 140 chilometri orari. Fu seguita da altre onde alte centinaia, decine e alcuni metri, che arrivarono praticamente dalla parte opposta della Terra. Le più piccole avevano un'altezza di 4 metri, secondo il team di ricerca. Si tratta ovviamente di fenomeni estremi che si verificano a frequenze estremamente basse, ma sottolineano quanto gli tsunami possano essere apocalittici. Questi fenomeni, fra l'altro, si verificano anche al di fuori della Terra; un recente studio ha trovato prove di maremoti su Marte con onde altre 200 metri.
Come si forma uno tsunami
Come indicato, il maremoto si caratterizza per onde anomale di altezza più o meno significativa che si abbattono sulla terraferma, principalmente a causa dei terremoti. L'INGV spiega che quando i terremoti hanno sprigionano un'energia sufficientemente grande, cioè superiore a magnitudo 5.5, può verificarsi una deformazione del fondale marino che a sua volta si trasferisce alla colonna d'acqua soprastante, un “sussulto” dovuto al cambiamento repentino dell'organizzazione delle faglie. “Se lo spostamento dei blocchi di faglia ha una componente verticale, cioè uno dei due blocchi si alza o si abbassa rispetto all’altro (come avviene nelle faglie normali e inverse), anche la massa d’acqua sovrastante si solleverà da un lato della linea di rottura, abbassandosi dall’altro lato”, evidenzia l'INGV. Questo temporaneo abbassamento di uno dei blocchi di faglia può dar vita a un'onda negativa, il fenomeno che è in grado di far ritirare il mare per centinaia di metri, prima di scagliare contro la costa una serie di onde anomale più o meno elevate e rapide dalla portata distruttiva.
È interessante notare che in mare aperto queste onde possono sembrare piccole, ma quando si avvicinano alla costa possono comprimersi sensibilmente, accelerando ed elevandosi in modo repentino in base alle caratteristiche del fondale. La prima onda a colpire non è necessariamente la più alta e devastante, mentre il fenomeno, nel suo complesso, può durare anche diverse ore. Tutto dipende dalla dinamica che innesca la liberazione dell'energia. Si ricorda che anche onde di pochi centimetri possono essere mortali, a causa della velocità della corrente generata dal fenomeno, la cui forza può far cadere e trascinare persone e animali in mare. Le onde generate dal vento o a quelle delle maree, legate all'attrazione gravitazionale della Luna, non sono paragonabili a un'onda di tsunami.
I maremoti più distruttivi sono quelli che si verificano in una zona di subduzione, ovvero dove le placche tettoniche “scorrono una sotto l'altra, con quella oceanica che sprofonda fino al mantello terrestre”, evidenzia l'INGV. Alcuni dei più catastrofici e recenti tsunami mai documentati, come quelli di Sumatra del 2004 (magnitudo 9.1, 230.000 morti) e di Tohoku del 2011 (magnitudo 9.1, 18.000 morti), quest'ultimo legato all'incidente alla centrale nucleare di Fukushima, si sono verificati proprio in zone di subduzione.
Perché in Giappone si verificano così tanti terremoti
Il Giappone è notoriamente uno dei Paesi più colpiti dagli tsunami, dunque non c'è da stupirsi che il nome del fenomeno sia proprio di origine nipponica (in italiano la traduzione letterale di tsunami è “onda di porto”). La terra del Sol Levante, del resto, si trova esattamente sopra la cintura di fuoco, l'area più sismica del pianeta dove si trovano circa 400 vulcani attivi, il 75 percento del totale. Il Giappone, inoltre, si erge nel punto di incontro di quattro placche tettoniche (nordamericana, euroasiatica, filippina e pacifica), rendendo il suo territorio a elevatissimo rischio sismico per via delle interazioni fra di esse. A tutto questo si aggiunge il fatto che la costa giapponese ha caratteristiche tali da favorire l'innalzamento delle onde di tsunami, rendendole particolarmente pericolose e distruttive. Tra i maremoti più devastanti che hanno colpito il Giappone, oltre all'evento del 2011, vi fu quello del 1896 che interessò la costa di Sanriku: l'evento provocò oltre 22.000 vittime. Un altro sisma seguito da uno tsunami nel 1923 danneggiò oltre 40.000 abitazioni e uccise 2.000 persone.
Il rischio tsunami in Italia
Anche l'Italia è un Paese a rischio tsunami, in particolar modo nel Meridione. Il devastante sisma di magnitudo 7,1 che colpì lo Stretto di Messina nel dicembre 2008 scatenò un potente maremoto che investì in pieno Messina e Reggio Calabria. Le vittime provocate dai due eventi combinati furono oltre 80.000. Un altro evento significativo, sebbene di portata inferiore, si verificò anche in Puglia nel 1627 (circa 5.000 morti a causa di uno tsunami innescato da una frana sottomarina al largo del Gargano). Uno tsunami di 1,5 metri si è verificato domenica 4 dicembre 2022 lungo le coste dell'isola di Stromboli, a causa di una frana proveniente dalla Sciara del Fuoco, legata all'attività dell'omonimo vulcano.