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Cos’è l’ossigeno oscuro scoperto nei fondali oceanici: come viene liberato in assenza di luce

I ricercatori che lo hanno scoperto, lo hanno chiamato “dark oxygen”, ovvero “ossigeno oscuro”, in quanto viene liberato a profondità oceaniche in cui è impossibile che giunga la luce del sole. Ora nuovi esperimenti di elettrochimica potrebbero avere scoperto l’esistenza di “geobatterie naturali” in grado di liberare ossigeno anche nell’assenza totale di luce.
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Tra le prime cose che si imparano a scuola c'è la fotosintesi clorofilliana. In cosa consiste è impresso nelle nostre menti: le foglie delle piante assorbono l'anidride carbonica per produrre elementi nutritivi per la pianta e rilasciare ossigeno. Ma tutto questo non sarebbe possibile in assenza di luce solare.

Ecco, una parte di questa verità, considerata ormai da secoli assolutamente certa, potrebbe non essere così vera. A differenza di quanto si è sempre pensato, forse la luce solare non sarebbe l'unica condizione possibile per la produzione di ossigeno.

Un gruppo internazionale di ricercatori ha infatti rilevato la presenza di ossigeno a quasi 4000 metri sotto il livello del mare, in un'area del fondale oceanico nota come zona di Clarion-Clipperton, nel quadrante nord-orientale dell'Oceano Pacifico, dove di certo non arriva la luce del sole: per questo motivo è stato chiamato "dark oxygen" o "ossigeno oscuro".

Dove è stato rintracciato l'ossigeno oscuro

In realtà questa scoperta è avvenuta casualmente, circa dieci anni fa, quando, un team di ricerca guidato da Andrew Sweetman, della Scottish Association for Marine Science (SAMS), stava studiando quel fondale marino per altre ragioni. Qui abbiamo spiegato i cambiamenti che sta subendo l'oceano per effetto del cambiamento climatico. La scoperta fu così sorprende che quando i loro strumenti segnalarono la presenza si ossigeno in campioni di roccia prelevai dal fondale, a quale profondità, i ricercatori pensarono addirittura che ci fosse un malfunzionamento tecnico. Com'è era possibile che ci fosse ossigeno nei fondali più remoti dell'oceano, in assenza completa di luce?

Eppure non c'era nessun errore. Le analisi di elettrochimica successivamente condotte dal un altro gruppo di ricercatori, guidato dal professor Fran Geiger della Northwester University, lo hanno confermato.

Cosa produce l'ossigeno

Come si legge nello studio pubblicato a fine luglio 2024 su Nature Geoscience, a permettere la produzione di ossigeno anche in assenza di luce sarebbero i depositi minerali naturali che si formano sul fondale oceanico, chiamati dai ricercatori "noduli polimetallici".

Si tratta di mix di diversi minerali, come cobalto, rame, nichel, lito e manganese, ovvero gli stessi – avverte Geiger – utilizzati nella produzione di batterie. Questa potrebbe sembrare un'osservazione poco rilevante, ma non lo è affatto. Ora infatti sappiamo che questi minerali sono fondamentali nella produzione di ossigeno: "Dobbiamo ripensare a come estrarre questi materiali, in modo da non esaurire la fonte di ossigeno per la vita in acque profonde", ha ribadito lo scienziato.

Il meccanismo che dai metalli libera ossigeno

Per chi non è un chimico o un biologo, non è semplicissimo da capire, ma il meccanismo alla base della presenza di ossigeno in assenza di luce ha a che vedere con l'elettricità. Quando nel 2023 Sweetman ha chiesto a Geiger di aiutarlo a capire come fosse possibile che le rocce negli abissi liberassero ossigeno, lo scienziato della Northwestern è partito da un altro suo studio di qualche anno prima, in cui aveva scoperto che la ruggine, combinata con acqua salata, piò generare elettricità.

I ricercatori a quel punto si sono chiesti se l'elettricità prodotta dai noduli metallici fosse abbastanza per permettere la produzione di ossigeno per elettrolisi. Si tratta di quel processo che attraverso l'elettricità permette reazioni chimiche, dalla quale una data sostanza può essere scomposta negli elementi che la compongono.

Cosa sono le "geobatterie naturali" scoperte sui fondali oceanici

Dall'analisi dei campioni prelevati i ricercatori hanno visto che sulla superficie di un singolo nodulo metallico sono stati registrati valori di tensione anche fino a 0,95 volt. Considerato che – spiegano i ricercatori – bastano 1,5 volt "per scomporre l'acqua del mare in idrogeno e ossigeno" e che più noduli vicini possono sommare le loro tensioni raggiungendo valori più elevati, è possibile che siano proprio questi noduli metallici a generare ossigeno. "Sembra che abbiamo scoperto una geobatteria naturale", hanno spiegato i ricercatori. Potrebbero essere queste "la base per una possibile spiegazione della produzione di ossigeno oscuro nell'oceano".

Questa scoperta ha implicazioni potenzialmente sorprendenti e mette in dubbio la nostra convinzione secolare secondo cui soltanto gli organismi fotosintetici, come piante e alghe, siano in grado di produrre ossigeno.

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