Cos’è lo Stretto di Messina, come si è formato e perché è complesso costruirci un ponte sopra
Lo Stretto di Messina è il braccio di mare che separa la Sicilia dalla Calabria, mettendo in collegamento il Tirreno con lo Ionio. In futuro sarà forse attraversato dal discusso ponte, i cui lavori dovrebbero iniziare nel 2024. Si parla di stretto e non di canale poiché la composizione chimico-fisica delle due masse d'acqua è differente. Ha una forma vagamente a imbuto (con la parte stretta in alto) ed è lungo circa 33 chilometri, mentre la larghezza minima è di poco più di 3,1 chilometri, quella massima 16 chilometri. Per attraversarlo col traghetto ci vogliono circa 20 minuti per la tratta compresa tra Rada San Francesco (Messina) e Villa San Giovanni (Reggio Calabria), ma per altre possono servire anche 45 minuti.
Questo tratto di mare è attraversato da forti correnti (in grado di generare vortici particolarmente violenti) ed è spesso solcato da venti rapidissimi, caratteristiche che associate alla profondità – minima di 60 / 100 metri all'altezza della cosiddetta sella – e alla spiccata sismicità dell'area rendono la costruzione del famoso “Ponte sullo Stretto” estremamente complessa dal punto di vista ingegneristico, con diverse sfide da superare. Il ponte sospeso, a campata unica e strallato, un volta ultimato dovrebbe essere lungo 3,3 chilometri (più altri 300 metri per le parti sulla terraferma); ciò lo renderebbe il più grande ponte del suo genere. Uno dei potenziali problemi costruttivi risiederebbe proprio nella presa del calcestruzzo delle immense fondamenta per sostenere i piloni.
Come si è formato lo Stretto di Messina
Un tempo la Calabria e la Sicilia erano unite, ma a causa degli intensi processi tettonici dell'area, legati alla presenza di tre placche che convergono in quella zona del Mediterraneo, si sono separate. Ciò, nel corso di 125mila anni, ha dato vita alla formazione di un vero e proprio canyon sottomarino. Non a caso il Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) ha definito lo Stretto di Messina un crocevia di faglie attive, indicandolo come “una delle zone più sismicamente attive di tutta l'area Mediterranea”.
Sono stati proprio i violentissimi terremoti a favorire l'allontanamento tra le due regioni del Mezzogiorno. Si ricordi il sisma del 28 Dicembre 1908, un catastrofico terremoto di magnitudo 7.1 legato alla faglia Messina-Taormina (seguito da uno tsunami) che distrusse larga parte delle città di Messina e Reggio Calabria, provocando oltre 60mila morti. Si tratta del disastro naturale peggiore dal punto di vista delle vittime per l'Italia e uno dei più devastanti in assoluto in Europa. In virtù di tale spiccata sismicità la costruzione di un gigantesco ponte a campata unica rappresenta una sfida particolarmente significativa, benché fattibile (diversi ponti sono stati in grado di resistere a sismi di magnitudo 7.0 e superiore).
Cosa c'è sotto? Gli aspetti morfologici e geologici
Sotto lo Stretto di Messina si trova una gigantesca depressione di origine tettonica, nel cui cuore si erge un peculiare monte sottomarino che svetta con la già citata "sella", il punto meno profondo del braccio di mare. Da questa vetta si dipanano i due versanti, uno verso il Mar Tirreno e l'altro verso il Mar Ionio. Il primo ha una morfologia molto più lieve, con un fondale che degrada dolcemente fino ai 2.000 metri di profondità innanzi all'isola di Stromboli; il versante ionico dà invece vita a un pendio estremamente ripido, che sprofonda a centinaia di metri già a pochi chilometri di distanza da Gazirri e Punta Pezzo, i due centri abitati affacciati sulla sella.
La batimetria è piuttosto variabile anche nella porzione centrale, dove si alternano aree che arrivano anche oltre i 1.200 metri profondità, con la presenza di suggestive valli sottomarine caratterizzate da ripidi pendii come quella di Scilla. Il fondale della depressione è inoltre ricoperto da immensi depositi di sabbia, che si accumula a causa delle correnti incrociate provenienti dai due bacini congiunti. Un fondale di questo tipo, con una profondità non indifferente anche a ridosso della sella, può rappresentare un problema significativo per la necessità di costruire fondamenta di dimensioni eccezionali. L'impatto per l'ambiente sottomarino e gli equilibri ecologici del ricco ecosistema dello Stretto sarebbe inoltre devastante. Il gioco di correnti alimenta il fenomeno di “upwelling” che favorisce una florida biodiversità, trasportando nutrienti e plancton dal basso verso l'alto.
Un tratto di mare pericoloso per via delle correnti
Le correnti dello Stretto di Messina sono considerate particolarmente insidiose, a causa della capacità di generare grandi vortici con una velocità di oltre 9 chilometri orari, come spiegato dal professor Vittorio Villasmunta. Nell'antichità queste forti correnti di marea – in particolar modo quella di Cariddi – risucchiavano le imbarcazioni uccidendo gli equipaggi. I giganteschi mostri marini della mitologia Scilla e Cariddi sarebbero stati ispirati proprio da questa subdola caratteristica del braccio di mare. Le correnti dello Stretto di Messina sono piuttosto peculiari e tra i primi a studiarle approfonditamente vi fu una squadra di scienziati dell'Istituto di geofisica di Trieste, che all'inizio degli anni '20 del secolo scorso condusse analisi a bordo di una nave militare.
L'aspetto più significativo risiede nel fatto che tra il Tirreno e lo Ionio sussiste una differenza di altezza (fino a una trentina di centimetri) a causa della discrepanza tra le fasi di alta e bassa marea. Questo fa si che l'acqua di uno confluisca nell'altro e viceversa. Le acque del Tirreno sono meno dense e più leggere, mentre quelle dello Ionio sono più pesanti. La loro interazione dà vita a vari fenomeni verticali e orizzontali come i succitati vortici, gorghi e vere e proprie onde, processi in grado di portare in superficie creature marine che vivono in profondità. La costruzione di un'immensa opera ingegneristica come il Ponte di Messina rischia di intralciare questi fenomeni e creare squilibri ecologici significativi.
Non vanno sottovalutati nemmeno i fortissimi venti che spesso spirano sullo Stretto, tanto che le oscillazioni che ne scaturirebbero per un ponte di quel tipo potrebbero portare alla sua chiusura temporanea in giornate molto ventose. Gli ingegneri dovranno trovare un perfetto equilibrio tra la rigidità torsionale e la deformabilità della struttura senza infrangere i limiti previsti dalla legge (resi ancor più stringenti dal fatto che sul ponte dovrebbero transitare anche treni ad alta velocità).
Un rischioso crocevia di faglie attive
Sotto lo Stretto di Messina si trova una grande depressione, la "Valle di Messina", un vero e proprio canyon tecnicamente conosciuto col nome di Graben. Si tratta di un lembo di crosta terrestre “aperto” a causa dei processi geologici in loco, legati alle faglie che qui convergono e che hanno hanno contribuito ad allontanare la Sicilia e la Calabria per decine di migliaia di anni. Che le due regioni italiane fossero un tempo unite lo dimostrano anche le caratteristiche dell'Aspromonte e dei Monti Peloritani della Sicilia nordorientale, che sono simili sia dal punto di vista litologico che geologico. In pratica, facevano parte della stessa catena, ma sono stati separati dai sopracitati terremoti.
Un recente studio del CNR pubblicato su Scientific Reports ha evidenziato che l'area dello Stretto è interessata "da un complesso sistema di faglie dove coesistono su brevi distanze, regimi tettonici diversi: estensionali, trascorrenti e compressivi". Questo dettaglio è alla base dei violentissimi terremoti che qui si sono sprigionati in tempi storici. Oltre a quello catastrofico del 1908, si ricordano anche la sequenza sismica tra il 5 febbraio e il 28 marzo 1783 (che provocò oltre 30mila morti) e il sisma del 16 novembre 1894. In pratica, un'enorme catastrofe ogni 100 anni.
L'elevata sismicità rappresenta un problema non indifferente per la costruzione di una infrastruttura gigantesca come il ponte di Messina, ma i ponti come quello del progetto 2011 (lunghissimo e a campata unica) hanno proprietà antisismiche intrinseche proprio in virtù della notevole flessibilità. Grandi terremoti che hanno colpito ponti sospesi, come quello di Akashi Kaikyo in Giappone e il Golden State negli Stati Uniti, ad esempio, non hanno subito danni significativi proprio grazie alle capacità oscillatorie.