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Cos’è la retinite pigmentosa, la malattia di cui soffre Annalisa Minetti: sintomi e cause

La retinite pigmentosa è una malattia oculare di origine genetica, della quale ne esistono diverse forme. Le più gravi possono rendere completamente ciechi, come nel caso dell’atleta e cantante Annalisa Minetti. Ecco cosa sappiamo su sintomi, cause e opportunità di trattamento. La patologia è incurabile.
A cura di Andrea Centini
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Annalisa Minetti al Festival di Sanremo
Annalisa Minetti al Festival di Sanremo

La retinite pigmentosa (RP) è una distrofia retinica ereditaria, come specificato dal portale specializzato sulle malattie rare Orpha.net. Più che una singola patologia con caratteristiche ben definite, è un insieme di malattie oculari di origine genetica. Alcune di esse portano a perdita progressiva del campo visivo e dell'acuità visiva senza determinare cecità, altre portano a cecità completa e altre ancora sono associate a sindromi come la sindrome di Usher, che oltre alla vista colpisce anche l'udito e l'equilibrio. In alcuni casi la progressione è talmente lenta che non ci si rende conto di soffrire di una condizione medica, dato che passano decenni prima che compaiano disturbi significativi, in altri casi l'evoluzione è più rapida.

In una intervista a Verissimo tenutasi a settembre 2023 la cantante e atleta Annalisa Minetti ha raccontato di aver perso completamente la vista a causa di questa malattia, dopo che all'ultimo controllo il medico le ha detto che “non c'era più niente”. Ha infatti perso anche la possibilità di percepire i bagliori di luce, che l'aiutavano ad affrontare meglio la sua condizione. Ricevette la diagnosi a 18 anni – anche la sorella ne è affetta – e ora che di anni ne ha 46 la malattia “ha completato il suo percorso”. Nel suo caso la retinite pigmentosa è associata anche a una degenerazione maculare, che interessa la zona centrale della retina chiamata macula. Ecco cosa sappiamo sulla retinite pigmentosa, quali sono i sintomi, le cause e le opzioni di trattamento.

Cos'è la retinite pigmentosa

Come indicato dagli autorevoli Manuali MSD per operatori sanitari, la retinite pigmentosa è una “degenerazione lentamente progressiva e bilaterale della retina e dell'epitelio pigmentato retinico, causata da varie mutazioni genetiche”. Sono infatti decine i geni coinvolti nell'emersione della patologia che colpisce la retina. Essa funziona un po' come la pellicola delle vecchie macchine fotografiche; qui, infatti, la luce convogliata dalla parte anteriore dell'occhio viene convertita in segnali elettrici che il cervello interpreta e trasforma nelle immagini del mondo che ci circonda. Le cellule responsabili di questa meraviglia biologica sono i coni e i bastoncelli.

Nella retinite pigmentosa sono colpiti principalmente i bastoncelli, che ci aiutano a vedere nelle condizioni di scarsa illuminazione e in quelle crepuscolari, ma sono coinvolti anche i coni, che sono invece legati alla visione diurna. È per questa ragione che i pazienti hanno inizialmente problemi con la visione notturna e con una riduzione del campo visivo, acquisendo la cosiddetta “vista a cannocchiale” garantita dal funzionamento dei coni. Nelle fasi più tardive la degenerazione coinvolge anche questi ultimi riducendo progressivamente la vista, fino alla cecità completa nelle forme più gravi. La tipologia più comune di RP è chiamata distrofia tipo bastoncelli-coni, come indicato da Orpha.net: “Insorge con cecità notturna, seguita dalla perdita progressiva della vista diurna, del campo visivo periferico, che può portare a cecità dopo diverse decadi”.

Quali sono i sintomi della retinite pigmentosa

La Cleveland Clinic segnala diversi segni e sintomi associati alla retinite pigmentosa. Fra essi cita la riduzione della visione notturna; la difficoltà a vedere in condizioni di scarsa illuminazione e la visione periferica alterata con presenza di punti ciechi nella fase iniziale. Nella fase successiva possono manifestarsi la sensazione di luci scintillanti o lampeggianti; la visione a tunnel o cannocchiale; la perdita della capacità di vedere i colori; una sensazione di disagio in presenza di luce intensa, condizione nota come “fotofobia”; e una significativa riduzione della vista. A volte la retinite pigmentosa diventa sintomatica sin dalla prima infanzia. La conferma della diagnosi avviene attraverso l'elettroretinogramma, un esame del fondo oculare: tra i segni ricercati dal medico oculista vi sono “pigmentazione a forma di spicole ossee nella retina equatoriale, restringimento delle arteriole retiniche, pallore cereo del disco ottico, cataratta sottocapsulare posteriore e cellule nel vitreo”, evidenziano i Manuali MSD.

Le cause della retinite pigmentosa

La retinite pigmentosa è provocata dalla mutazione di decine di geni legati al funzionamento delle cellule presenti nella retina, i già citati coni e bastoncelli. Queste anomalie genetiche alterano infatti la produzione delle proteine retiniche, provocando la degenerazione / morte cellulare con conseguenti disturbi della vista, fino alla perdita della stessa. Si tratta di una malattia genetica con differenti tipologie di trasmissione: autosomica recessiva, autosomica dominante, recessiva legata all'X (più rara, indicano i Manuali MSD) e anche mitocondriale, come rileva Orpha.net. Sono stati identificati circa 50 geni coinvolti nelle forme non sindromiche di RP. A causa del numero importante di geni e loci coinvolti, l'indagine genetica non viene normalmente utilizzata come metodo diagnostico, tuttavia è preziosissima per determinare la possibile progressione della patologia e il rischio di sviluppo per altri membri della famiglia. Può essere utile anche per essere selezionati e sottoposti a una terapia genica. Ad oggi si ritiene che circa 2 milioni di persone nel mondo ne siano colpite, con un incidenza di 1 caso ogni 3.000 – 4.000 nati. In Italia circa 1.500 pazienti convivono con la forma che determina cecità a entrambi gli occhi.

Come si tratta la retinite pigmentosa

Ad oggi non esiste una cura per la retinite pigmentosa, dato che non è possibile riparare ai danni che essa produce. Tuttavia se ne può rallentare la progressione grazie a terapie ad hoc. Perlomeno in alcuni pazienti. Il palmitato di vitamina A per via orale, ad esempio, ha dimostrato questa efficacia, così come la supplementazione di acidi grassi omega-3 (acido docosaesaenoico e simili) e le preparazioni orali di luteina e zeaxantina sono in grado di ritardare la velocità con cui si perde la vista, come evidenziato dai Manuali MSD. Anche la terapia genica basata su adenovirus come vettori – come in alcuni vaccini anti Covid – può essere preziosa contro alcune specifiche forme della malattia. In tal senso è stato approvato il trattamento voretigene neparvovec-ryzl.

Protesi retiniche e impianti di chip possono aiutare le persone completamente ciche a recuperare alcuni stimoli visivi, come la rivoluzionaria retina artificiale liquida sviluppata da scienziati italiani guidati da un team del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Nell'ottobre del 2021 in Italia è stata impiantata a un uomo con retinite pigmentosa l'NR600, una retina artificiale prodotta in Israele in grado di donare una “vista bionica” ai pazienti ciechi. Grazie ad essa il paziente è tornato a vedere la luce. Dopo un lungo periodo questo dispositivo consente di vedere immagini in bianco e nero e pixelate, permettendo di riconoscere i contorni degli oggetti. Una rivoluzione per chi vive in un mondo totalmente buio.

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