Cos’è la donazione a cuore fermo e perché è così importante per i trapianti d’organo
Nel 2023 i trapianti d'organo in Italia hanno raggiunto un nuovo record, ben 4.462, secondo un recente rapporto presentato dal Ministero della Salute. Ciò significa che, rispetto al 2022, sono stati registrati 586 interventi in più, conquistando un virtuoso +15 percento e permettendo per la prima volta il superamento della soglia di 4.000 donazioni. Un contributo significativo a questi dati è stato dato dall'aumento delle donazioni a cuore fermo, conosciute anche come DCD (acronimo di donation after cardiac death).
Cos'è la donazione a cuore fermo
Come spiegato dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS), la donazione a cuore fermo è una particolare procedura di trapianto d'organi introdotta solo da pochi anni in Italia, nella quale l'accertamento della morte del donatore è legato a criteri cardiocircolatori e non cerebrali (morte encefalica). In parole molto semplici, se l'elettrocardiogramma non evidenzia alcun segnale di attività cardiaca per 20 minuti, viene decretata la morte e i chirurghi possono procedere all'espianto degli organi da trapiantare al ricevente.
Il fattore temporale è un elemento particolarmente significativo della normativa italiana, che è decisamente più “garantista” per colui o colei che dona, se così si può definire. In Spagna e nel Regno Unito, ad esempio, l'accertamento di morte cardiocircolatoria – arresto cardiaco – prima di procedere all'espianto è di “soli” 5 minuti, mentre negli Stati Uniti addirittura la finestra temporale va dai 2 ai 5 minuti. In altri Paesi si spazia dai 5 ai 10 minuti. In Italia la tempistica di 20 minuti per confermare il decesso cardiocircolatorio di una persona è stata stabilita attraverso un decreto ministeriale emanato ad aprile del 2008. È doveroso sottolineare che, sul piano legislativo, come indicato dall'ISS non esiste “alcuna differenza tra la donazione in morte encefalica e quella a cuore fermo”.
I rischi della donazione a cuore fermo
Sussistono differenze sostanziali a livello organizzativo e logistiche con la tradizionale procedura di trapianto, potenzialmente in grado di compromettere la qualità degli organi da donare. Nel caso della donazione a cuore fermo, infatti, il donatore è in arresto cardiocircolatorio e, com'è ampiamente noto, più tempo passa senza circolazioni sanguigna maggiori possono essere i danni ischemici ai tessuti. La generosa tempistica italiana di 20 minuti, comunque, non comporta particolari problemi, considerando che oltre a reni, polmoni e fegato, si riesce a trapiantare con successo persino il cuore stesso.
Come specificato dal Ministero della Salute, in sei centri nazionali sono stati effettuati 13 prelievi e trapianti di cuore nel contesto di donazione a cuore fermo, con quello di Padova in prima linea. In alcuni casi gli organi cardiaci possono affrontare anche oltre 40 minuti di “ischemia calda”, spiega il ministero, sottolineando che si tratta di un primato mondiale tutto italiano ottenuto grazie alle avanzatissime tecniche di perfusione e ricondizionamento messe a punto dagli specialisti. L'Università della California di Davis evidenzia in un articolo che “gli organi recuperati da un donatore dopo la morte cardiaca presentano un certo grado di privazione di ossigeno durante il periodo successivo all'arresto del battito cardiaco, ciò potrebbe rendere i reni di questo tipo di donatori ‘lenti ad avviarsi'”.
Chi sono i donatori a cuore fermo
Questo tipo di donazione può coinvolgere persone colpite da arresto cardiaco “improvviso e inatteso” che non rispondono alle procedure di rianimazione, e ciò può avvenire sia all'interno che al di fuori degli ospedali. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la donazione a cuore fermo coinvolge persone ricoverate nei reparti di terapia intensiva, colpite da gravi e irreversibili lesioni cerebrali che portano alla morte cardiocircolatoria. L'aumento di questo tipo di donazione viene considerato positivamente e i dati in Italia sono incoraggianti: si è infatti passati dai 100 trapianti DCD del 2018 ai 221 del 2022, fino ai 438 del 2023, dato che ha contribuito al record generale riscontrato dalla Rete trapiantologica italiana. È chiaro che la donazione a cuore fermo non deve influenzare negativamente il numero dei donatori nello stato di morte encefalica (quello classico) e in particolar modo non deve “modificare l'approccio e la qualità delle cure delle persone in rianimazione”, come indicato dall'ISS.