Cos’è la cura con PARP inibitori, la terapia per il cancro di Bianca Balti: come funziona e gli effetti collaterali

La cura con i PARP inibitori, o inibitori di PARP, è una terapia che ha rivoluzionato il trattamento di alcuni tipi di cancro, come quelli al seno e alle ovaie associati a mutazioni nei geni BRCA, incluse le alterazioni genetiche che interessano il gene BRCA1, di cui Bianca Balti, come anche Angelina Jolie, è portatrice: la modella italiana, tornata a casa a Los Angeles dopo la partecipazione al Festival di Sanremo e gli impegni alla Fashion Week di Milano e quella di Parigi, ha rivelato che inizierà questa nuova terapia, ma che dovrà fermarsi “per almeno tre settimane” per monitorare i suoi possibili effetti collaterali, di solito non debilitanti, ma che possono comportare nausea, affaticamento, anemia e altre alterazioni del sangue.
La terapia con gli inibitori di PARP agisce “bloccando l’enzima PARP, che aiuta a riparare il DNA danneggiato, portando alla morte delle cellule cancerose” ha raccontato Balti in una delle sue storie su Instagram, ma “il dottore dovrà tenere sotto controllo come reagisco alla cura, per eventualmente modificare i dosaggi”. Gli inibitori di PARP vengono usati come trattamento per il cancro quando c’è un difetto ereditario nella riparazione del DNA, o se questo difetto è nella cellula tumorale stessa: come ogni farmaco antitumorale, il monitoraggio durante la cura è fondamentale, per gestire e ridurre al minimo gli effetti indesiderati.
Cosa sono gli inibitori di PARP
I PARP inibitori, o inibitori di PARP, sono farmaci antitumorali mirati, che agiscono limitando l’azione dell’enzima poli ADP-ribosio polimerasi (PARP), una proteina cruciale nel processo di riparazione del DNA. Bloccando questa attività enzimatica, gli inibitori di PARP impediscono alle cellule di riparare il DNA danneggiato, portando alla morte delle cellule cancerose.
Le cellule con mutazioni che influenzano negativamente la riparazione del DNA, come le mutazioni nei geni BRCA1 o BRCA2, sono particolarmente suscettibili all’azione degli inibitori di PARP, perché le cellule con queste alterazioni genetiche dipendono maggiormente dall’enzima PARP per riparare il DNA danneggiato. “Quando una cellula cancerosa ha già una riparazione dei danni compromessa, come nei pazienti con una mutazione BRCA, la cellula cancerosa non può ripararsi da sola – spiegano gli esperti – . Gli inibitori di PARP impediscono alla cellula cancerosa di riparare il suo DNA danneggiato, per cui non può dividersi per dare origine più cellule cancerose e muore”.
Come funziona la cura con gli inibitori di PARP
Gli inibitori di PARP come trattamento contro il cancro hanno come bersaglio gli enzimi PARP che, come detto, sono proteine che nelle cellule aiutano a riparare il DNA danneggiato, in particolare le rotture a singolo filamento. Questi inibitori sono progettati per legare e inibire selettivamente l’attività di PARP, bloccandone la funzione, il che interrompe il meccanismo di riparazione del DNA, portando all’accumulo di danni e alla conseguente morte cellulare.
Anche i geni BRCA codificano per proteine che normalmente intervengono nella riparazione del DNA danneggiato, ma le alterazioni responsabili dei tumori associati alle mutazioni di BRCA compromettono l’azione di queste proteine nelle cellule cancerose che, per riparare il loro DNA e quindi crescere e dividersi, dipendono maggiormente dagli enzimi PARP. In questa situazione, l’inibizione di PARP induce pertanto un annullamento dei meccanismi di riparazione nelle cellule cancerose che, non potendo più riparare i danni, accumulano errori e muoiono.
Ad oggi, sono stati sviluppati diversi PARP inibitori che differiscono per la specifica interazione con PARP, tra cui olaparib (Lynna) e talazoparib (Talzenna), approvati anche in Italia per il trattamento tumori in presenza di mutazioni BRCA come terapia della malattia metastatica e, nel caso di olaparib, come terapia per ridurre il rischio di recidiva. Tra i nuovi inibitori di PARP approvati anche niraparib (Zejula) e rucaparib (Rubraca).
Gli inibitori di PARP vengono assunti per via orale, generalmente sotto forma di compresse o capsule, una o due volte al giorno a seconda dello specifico farmaco e del tipo di neoplasia, da cui dipende anche la durata del trattamento. L’efficacia di questa terapia è ben consolidata, avendo mostrato miglioramenti significativi nella sopravvivenza libera da progressione della malattia nei tumori metastatici e, più recentemente, miglioramenti della sopravvivenza globale nella fase precoce, pur ponendo alcune delle sfide, come il rischio di effetti collaterali e lo sviluppo di resistenza al trattamento.
Quali sono gli effetti collaterali degli inibitori PARP
Come tutti i farmaci, anche gli inibitori di PARP possono avere effetti collaterali, che possono includere affaticamento, nausea, mal di testa e alterazioni del sangue, come una riduzione dei globuli rossi (anemia), bassi livelli di globuli bianchi e piastrine. “Alcuni inibitori di PARP possono portare anche la caduta dei capelli – osservano gli esperti -. Questi effetti collaterali di solito non sono debilitanti e possono essere curati”.
Un’altra criticità associata alla terapia è la resistenza al trattamento che, a un certo punto, si verifica in quasi tutti pazienti e può limitare la durata effettiva del trattamento.
“Inoltre ci possono essere degli effetti collaterali significativi come la mielosoppressione (ossia la riduzione della capacità del midollo osseo di produrre le cellule del sangue) che può influenzare in qualche modo la qualità di vita del paziente e limitare l’uso continuato – osservano i ricercatori della Fondazione Mutagens – . La ricerca sta cercando di capire perché si instaura la resistenza e di superare questo problema con diverse strategie, incluso lo sviluppo di nuovi farmaci, che mirano ai meccanismi di riparazione del DNA, e di terapie combinate per prevenire o superare la resistenza nonché l’identificazione di marcatori che possano predire la resistenza”.