Cosa succede se l’influenza aviaria inizia a diffondersi nell’uomo: le simulazioni degli scienziati
Dal 2021 è in corso una gravissima epidemia di influenza aviaria (H5N1), che sta sterminando intere colonie di uccelli protetti sia in Europa che nel continente americano. Sono inoltre milioni i polli, i tacchini e altri volatili di interesse commerciale uccisi per spegnere i focolai emersi negli allevamenti e abbattere il rischio che il virus ad alta patogenicità (ed estremamente infettivo) possa diffondersi ulteriormente. L'aviaria è un pericolo significativo non solo per la fauna selvatica e domestica, ma anche per l'essere umano, come dimostrano alcuni casi rilevati in Cambogia. Una bambina di 11 anni della provincia di Prey Veng è deceduta in questi giorni dopo aver contratto il virus, ma risultano positive più di 10 abitanti della zona. Nella maggior parte dei casi le persone si infettano entrando in contatto con uccelli (vivi o morti) positivi, ma c'è il rischio che sia sia verificato il contagio tra uomo e uomo, un'eventualità rara ma non impossibile. Come scrive l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), infatti, il ceppo H5N1 “non infetta facilmente gli esseri umani e la diffusione da persona a persona sembra essere insolita”.
Non a caso i focolai emersi da quando è stato isolato il virus sono sempre stati ristretti e fondamentalmente legati a nuclei famigliari. Spesso si tratta di eventi sporadici, come avvenuto recentemente nel Regno Unitocome avvenuto recentemente nel Regno Unito. Ma le cose potrebbero cambiare, come affermato in un comunicato dalla dottoressa Meera Chand, a capo della task force che monitora i casi di influenza aviaria presso l'Agenzia britannica per la sicurezza sanitaria (UKHSA). “Le ultime prove suggeriscono che i virus dell'influenza aviaria che stiamo vedendo circolare negli uccelli attualmente non si diffondono facilmente alle persone. Tuttavia, i virus si evolvono costantemente e rimaniamo vigili per qualsiasi prova di cambiamento del rischio per la popolazione, oltre a lavorare con i partner per colmare le lacune nelle prove scientifiche”, ha chiosato l'esperta. Proprio un team di scienziati che collabora con l'UKHSA, tra i quali l'epidemiologo Neil Ferguson che ha svolto un ruolo significativo nella gestione della pandemia di Covid nel Regno Unito, sta mettendo a punto modelli e simulazioni che prevedono scenari epidemici di influenza aviaria H5N1 nell'uomo, alcuni dei quali con risultati piuttosto inquietanti. Ricordiamo fra l'altro che il virus è stato già riscontrato in diversi mammiferi, pertanto potrebbe sviluppare mutazioni in grado di agevolare l'infezione anche nell'uomo.
Innanzitutto è doveroso sottolineare qual è la mortalità dell'influenza aviaria. Come specificato dall'OMS, il tasso di mortalità nelle persone infette è di circa il 60 percento. In altri termini, più della metà delle persone contagiate perde la vita. Il virus, pertanto, è decisamente più aggressivo dei patogeni della comune influenza o del coronavirus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia che stiamo vivendo da 3 anni. Fortunatamente, come specificato, il virus H5N1 – almeno al momento – non infetta l'uomo con facilità. “Ad oggi, non c'è stata nessuna o poca evidenza di una trasmissione prolungata da uomo a uomo dei virus dell'influenza aviaria, perché il tropismo tissutale limita la trasmissione del virus dagli uccelli all'uomo e, analogamente, da uomo a uomo. Ci sono state alcune prove di piccoli gruppi familiari e potenziale di trasmissione nosocomiale limitata”, hanno specificato gli scienziati dell'UKHSA.
Tuttavia non si può escludere che le cose possano cambiare, come indicato dalla dottoressa Chand, pertanto i ricercatori britannici hanno sviluppato modelli per prevedere la diffusione e l'impatto del virus sul territorio britannico. Hanno innanzitutto ipotizzato una trasmissibilità legata a un fattore R è compreso tra 1,2 e 2, ovvero superiore alla soglia epidemica, con ciascun positivo che infetta più di una persona (fino a 2 in una popolazione non immunizzata). I tempi di raddoppio dei contagi considerati nelle simulazioni sono invece compresi compresi tra i 5 e i 20 giorni. Nello scenario “lieve” è stato considerato un tasso di mortalità per infezione (IFR) simile a quello della pandemia di COVID-19 alla metà del 2021, che era attorno allo 0,25 percento (con significative variabilità regionali). Anche l'epidemia di aviaria del 2009 ha avuto un tasso simile. In questo caso, un'epidemia di H5N1 provocherebbe 1 morto ogni 400 persone contagiate, mentre il tasso di ricovero sarebbe dell'1 percento.
Nel secondo scenario, quello più grave, i ricercatori hanno ipotizzato un tasso di mortalità del 2,5 percento, che provocherebbe 1 morto ogni 40 infetti. Lo scenario è analogo a quello della catastrofica “Influenza Spagnola” scoppiata a cavallo della Prima Guerra Mondiale, che fu responsabile di circa 50 milioni di morti a livello gloable (al momento la pandemia di COVID-19, secondo i dati ufficiali dell'Università Johns Hopkins, ha ucciso quasi 7 milioni di persone, 190mila in Italia). Secondo i ricercatori un'epidemia / pandemia di aviaria colpirebbe di più i giovani rispetto agli anziani, proprio come avvenuto con la Spagnola.
Va tenuto presente che la mortalità indicata dall'OMS per l'aviaria è molto superiore a quella dei due scenari proposti; negli ultimi 20 anni, infatti, dei circa 870 casi di infezione registrati, oltre 450 sono stati fatali. Non sappiamo se ci troveremo mai in una situazione epidemica, o peggio, pandemica a causa dell'influenza aviaria H5N1, ma queste simulazioni sono necessarie per pianificare al meglio eventuali restrizioni e aumentare la sorveglianza. Recentemente abbiamo vissuto lockdown e altre misure draconiane a causa del coronavirus SARS-CoV-2; intervenire tempestivamente contro un patogeno altamente infettivo (in caso di mutazioni idonee) e letale potrebbe scongiurare almeno in parte gli scenari più catastrofici. Ricordiamo anche che le malattie infettive estremamente letali, come ad esempio le febbri emorragiche (Ebola, virus Marburg), non si diffondono così capillarmente anche a causa della gravità della sintomatologia, che giocoforza riduce gli spostamenti dei malati e di conseguenza riduce la potenziale trasmissione.