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Alluvione Emilia Romagna 2023

Cosa sono i bacini di laminazione e perché avrebbero potuto salvare la Romagna dalle inondazioni

Tra le infrastrutture più preziose per scongiurare il rischio di alluvioni catastrofiche vi sono i bacini di laminazione. Ecco cosa sono e come funzionano.
A cura di Andrea Centini
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Cassa di espansione allagata del fiume Secchia. Credit: Roberto Ferrari / Wikipedia
Cassa di espansione allagata del fiume Secchia. Credit: Roberto Ferrari / Wikipedia
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Quattordici vittime accertate, decine di migliaia di persone rimaste senza casa ed elettricità, intere aree agricole e zone urbane sommerse, con danni che ammontano a miliardi di Euro. È questo il pesantissimo e provvisorio bilancio della catastrofica alluvione che ha colpito l'Emilia Romagna negli ultimi giorni, a causa di precipitazioni straordinarie che hanno ingrossato i fiumi facendoli esondare quasi tutti e in diversi punti. A causare la devastazione sono stati circa 300 millimetri di pioggia caduti in una giornata, una concentrazione paragonabile a quella che nella Regione si verifica in diversi mesi. Ma nonostante l'eccezionalità dell'evento, catalizzato dall'impatto dei cambiamenti climatici – che hanno tra le conseguenze anche l'inasprimento dei fenomeni atmosferici -, a renderlo particolarmente devastante è stata anche l'assenza di opere preziose che servono a “sgonfiare” i corsi d'acqua durante le piene: i bacini di laminazione.

Come spiegato in un documento del Comune di Ponte di Piave (provincia di Treviso, Veneto), un bacino di laminazione “è un ‘parcheggio' temporaneo per quella parte di acqua che un fiume non riesce a contenere in caso di piena”. In parole semplici, si tratta di uno sfogo che, quando si superano determinati limiti, permette di deviare parte del flusso d'acqua e accoglierlo in appositi, grandi bacini artificiali. In questo modo si impedisce al fiume di ingrossarsi a tal punto da uscire dal suo alveo e dunque esondare, provocando i disastri che abbiamo visto in Emilia Romagna (ma non solo). Normalmente i bacini di laminazione – conosciuti anche come bacini di espansione o casse di espansione – vengono realizzati a monte e prima dei centri abitati, proprio per evitare le esondazioni nelle aree più critiche. Per fare un esempio, la città di Roma è protetta da un enorme bacino di laminazione a Magliano Sabina per scongiurare le esondazioni del Tevere. Vi sono diverse vasche di espansione anche a valle dell'Arno, costruite dopo il distruttivo straripamento del 1966 a Firenze.

I bacini di laminazione, come specificato dal professor Maurizio Borin dell'Università di Padova, possono essere opere polifunzionali, che oltre a prevenire le esondazioni possono giocare un ruolo nella depurazione dell'acqua, rimuovendo attraverso la fitodepurazione (veicolata dalle piante) materiali in sospensione, sostanze organiche biodegradabili, composti azotati, fitofarmaci, batteri etc etc. Si è pensato anche di sfruttare questi depositi temporanei – che di solito restano allagati per poco tempo – al fine di fornire una riserva preziosa da cui attingere durante la siccità ricorrente, che colpisce con sempre maggior intensità il nostro Paese. Sono dunque infrastrutture estremamente preziose, ma perché non hanno protetto l'Emilia Romagna?

La ragione, come spiegato dal Corriere della Sera, risiede nel fatto che dei 23 bacini di laminazione (termine sinonimo di riduzione) commissionati tra il 2015 e il 2022 solo 12 erano in funzione durante la pioggia eccezionale. Molti sono da completare e altri funzionano solo in parte. Il completamento delle preziose infrastrutture avrebbe sicuramente ridotto i danni, come dimostra l'efficacia della serie di casse di espansione costruite in Veneto negli ultimi anni. A testimoniarlo la devastante tempesta Vaia del 2018, che assieme ai venti fortissimi ha portato oltre 700 millimetri di pioggia in tre giorni, più del doppio di quella caduta in Emilia Romagna. Eppure, al netto di danni considerevoli, non si è registrata un'alluvione catastrofica. Proprio perché, memore di una precedente alluvione del 2010, la regione veneta si è mossa per tempo costruendo bacini di laminazione in posizioni strategiche, grazie ai cospicui fondi stanziati dal piano di protezione.

Ovviamente i bacini di laminazione sono solo una parte dell'equazione, dato che anche la cementificazione estrema, il consumo di suolo e la distruzione dell'habitat naturale concorrono a favorire le alluvioni. C'è anche un altro problema da non sottovalutare: la mancata rimozione delle dighe, degli sbarramenti e di altri ostacoli obsoleti lungo i fiumi. Questo è un problema che riguarda tutta l'Italia, come dimostra il Dam Removal Europe, un progetto che traccia la rimozione di queste infrastrutture dai fiumi di tutta l'Unione Europea. Il nostro Paese per due anni di seguito non ne ha tolto nemmeno uno, diventando fanalino di coda nella UE. Queste costruzioni favoriscono lo straripamento poiché si ingolfano di detriti – che aumentano a dismisura durante la pioggia eccezionale – e formano un vero e proprio sbarramento al corso d'acqua, costringendolo a uscire dall'alveo. Le soluzioni per evitare eventi catastrofici ci sono, ma servono interventi capillari e investimenti significativi, oltre a un totale cambio di paradigma nello sfruttamento del suolo e della natura in generale.

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