Le immagini della balenottera azzurra, l’animale più grande mai esistito: cosa si prova a incontrarla
Venerdì 3 maggio 2024, isola di Pico, Azzorre. Sono passate da pochi minuti le 14:00 e il cellulare squilla. Non lo senti subito perché sei in bagno a toglierti il sale e i vestiti bagnati di dosso. La mattina, del resto, l'avevi trascorsa su un gommone a chiglia rigida tra le onde agitate dell'oceano. Il regalo del grande blu era stato prezioso: tanti capodogli, grampi, tursiopi e altre meravigliose creature che vivono nelle acque dell'arcipelago portoghese. Il telefono squilla, dicevamo. Quando finalmente lo senti e corri a prenderlo, ti accorgi subito che ci sono già un paio di chiamate andate a vuoto. È Enrico Villa, direttore della ricerca scientifica e fondatore di CW Azores: “Andrea, abbiamo la conferma dell'avvistamento di due balenottere azzurre dalla vigia a sud di Pico, ma dovete sbrigarvi ed essere sulla barca entro 20 / 25 minuti. Cosa fate?”. L'emozione del momento è fortissima, per un milione di ragioni, ma prima di raccontarvi cos'è accaduto poco dopo, è doveroso fare un paio di passi indietro.
Alle Azzorre, nove isole incastonate nel cuore dell'Atlantico, l'avvistamento dei cetacei viene coadiuvato dalle vigie. Fondamentalmente si tratta di torrette dislocate nei punti strategici della costa, dove uomini armati di grandi e potenti binocoli scrutano costantemente l'oceano, alla ricerca di soffi dei grandi cetacei e splash dei delfini. Un tempo queste strutture avevano uno scopo ben preciso: permettere la caccia al capodoglio. Da qui gli avvistatori segnalavano ai balenieri la presenza dei possenti cetacei odontoceti. Erano momenti concitati. Gli uomini lasciavano i propri impegni e si lanciavano in mare sfidando le onde e la sorte. Non tutti rientravano a casa. I capodogli, del resto, vendevano cara la pelle, ma rappresentavano una risorsa troppo preziosa per la gente del posto; da questi animali si ricavavano olio, grasso, carne, sostanza grigia e altri materiali ben pagati. Soldi con i quali si sostenevano molte famiglie, sebbene alle spese di creature magnifiche che venivano ammazzate in modo spietato e sanguinario.
L'isola di Pico, di cui il capodoglio è un vero e proprio simbolo, ha avuto una lunga tradizione baleniera, come dimostrano i due musei dedicati siti a Sao Roque e Lajes do Pico. Tramontò nel 1986, con l'uccisione dell'ultimo esemplare. Con la moratoria internazionale dell'IWC, il progresso e il crollo dei prezzi delle materie ottenute da questi animali, anche i coraggiosi picaroti appesero le lance al chiodo. È così che ha avuto inizio una nuova era, quella attuale, in cui i mammiferi marini non più sottoposti al massacro sono comunque protagonisti.
Da carne da macello, infatti, si sono trasformati in un'attrazione per turisti amanti della natura – sotto la spinta dei nuovi movimenti ambientalisti – e studiosi. L'isola di Pico in pochi anni è diventata un vero e proprio paradiso per il whale watching e lo studio dei cetacei, grazie alle decine di specie (tra stanziali, migratorie e di passaggio) che ogni anno qui possono essere ammirate. Anche le vigie hanno continuato a sopravvivere, mantenendo il proprio compito di hotspot per l'avvistamento degli animali, anche se al servizio del turismo sostenibile e della ricerca. I dati raccolti costantemente dagli avvistatori sono molto preziosi anche per i biologi marini che studiano questi animali.
Dopo questa ampia ma doverosa premessa, possiamo tornare alla chiamata di Enrico. Il momento, dicevamo, è stato travolgente. Per il pochissimo tempo a disposizione, la stanchezza ancora addosso di un'uscita fisicamente impegnativa e, chiaramente, l'emozione e l'idea di poter ammirare dal vivo sua maestà la balenottera azzurra. Non è un cetaceo qualsiasi, se mai ne esistessero di cetacei qualsiasi. Si tratta infatti dell'animale più grande mai vissuto sulla Terra, più dei dinosauri. Con i suoi oltre 33 metri di lunghezza massima e un peso di 200 tonnellate, non c'è apatosauro (ex brontosauro), diplodoco, brachiosauro o altro gigante del Mesozoico a poter reggere il confronto con questa creatura immensa. È giusto sottolineare che queste dimensioni sono "echi" del passato; la baleneria industriale – non certo quella dei picaroti con lance di legno – ha infatti sterminato intere popolazioni di questi animali, eliminando sistematicamente tutti quelli più massicci. Furono uccisi centinaia di migliaia di esemplari. Oggi le balenottere azzurre più grandi arrivano attorno ai 28 metri di lunghezza massima, ma non è detto che in futuro non possano raggiungere di nuovo le dimensioni di un tempo.
Ci sono pochi luoghi al mondo dove poter sperare di avvistare questi giganteschi cetacei; le Azzorre sono uno di essi. Durante la migrazione primaverile, infatti, le balenottere azzurre e altri grandi cetacei misticeti – come balenottere comuni, megattere e balenottere boreali – transitano e sostano nelle acque pescose dell'arcipelago portoghese, per poi dirigersi verso le fredde acque del nord dove trascorrono l'estate. I mesi con le maggiori probabilità di avvistamento delle balenottere azzurre sono quelli di marzo e aprile, ma anche a maggio non è poi così inconsueto incontrarle.
La telefonata di Enrico stava per rendere reale questa imperdibile opportunità, così, dopo una precipitosa vestizione, ci siamo catapultati al porticciolo di Madalena do Pico per affrontare nuovamente l'oceano. Era una sfida contro il tempo, per diverse ragioni. Il mare in costante peggioramento, ad esempio, stava rendendo sempre più complicato seguire le balenottere per gli avvistatori delle vigie, a causa dei soffi “mimetizzati” dalle onde e il tempo significativo trascorso sott'acqua dai cetacei tra una serie di respiri in superficie e l'altra (circa 7 minuti, per i due esemplari avvistati). Il rischio di perderle era altissimo, anche e soprattutto per un'altra ragione: la nebbia. Sulla costa di Pico stava per calare un velo bianco che avrebbe precluso qualunque possibilità di tenere sott'occhio gli animali dalle torrette. Ecco il perché del pochissimo tempo a disposizione per tornare nell'Oceano Atlantico, sempre più irrequieto.
Indossati al volo giubbotto e salvagente obbligatori, ci siamo fiondati sul gommone dove ad attenderci c'erano lo skipper Michael, annoverato tra i più bravi ed esperti delle Azzorre, la guida Marlene e il mitico Pirata, il cane che ama osservare le balene. Siamo partiti a tutta velocità verso il sud dell'isola, sfidando vento forte, pioggia che sferzava il viso e onde importanti che su un gommone si fanno sicuramente sentire, tra emozioni da giostra imbizzarrita e qualche colpo all'osso sacro. Chi sta davanti soffre di più.
Durante l'avventuroso viaggio verso la meta eravamo martellati dal pensiero che avremmo potuto perdere le balene a causa delle condizioni via via più complicate. A un certo punto, dopo aver costeggiato Pico per circa mezz'ora, Michael cambia rotta all'improvviso e il gommone inizia a dirigersi verso l'oceano aperto, accompagnato dal volo elegante delle splendide berte maggiori atlantiche. Si accende la radio e iniziamo a sentire Antero, ex baleniere oggi avvistatore al servizio di operatori di whale watching e ricercatori. Ha ancora le due balenottere azzurre nel mirino. Sospiro di sollievo. L'emozione cresce; la possibilità di incontrare gli animali più grandi della Terra è sempre più vicina e sta per concretizzarsi.
Non ricordo esattamente quanto tempo è trascorso dal momento in cui ci siamo allontanati dalla costa, ma so per certo che a un certo punto abbiamo sentito il grido “blowww” – soffio – e una delle due meravigliose balenottere azzurre si è palesata a prua dell'imbarcazione. La chiamano balenottera azzurra perché quando la vedi nuotare sott'acqua sembra veramente di questo colore. Ma quando emerge per respirare, lanciando in aria il più grande soffio tra i cetacei (fino a 12 metri), la sua pelle si presenta più come un puzzle a grandi chiazze in diverse tonalità di grigio, in particolar modo l'ardesia, che si alternano con l'azzurro scuro e il nerastro. Il pattern è specifico per ogni individuo, come le nostre impronte digitali, dunque è preziosissimo per identificare i singoli esemplari assieme alle caratteristiche della pinna dorsale.
A bordo del gommone, al cospetto di una simile creatura, le emozioni rimbalzavano tra la meraviglia e la commozione, passando attraverso uno strano senso di appagamento e privilegio. È noto che solo una piccolissima percentuale di esseri umani ha avuto la (grandissima) fortuna di poter ammirare questi animali in natura. Noi ne facevamo parte. Dopo aver affiancato per un po' la prima balenottera, in breve tempo si è manifestata anche la seconda, leggermente più piccola. Secondo le stime fatte dalla barca, la più grande era di circa 18 metri, mentre la seconda di 13 – 15 metri. Non erano certamente le balene più grandi del mondo, ma al cospetto del nostro gommone erano comunque dei veri giganti, il cui sontuoso respiro riempiva il cuore a ogni emersione. Ci piace pensare fossero imparentate in qualche modo, ma probabilmente noi non lo sapremo mai (futuri avvistamenti e studi genetici mirati potrebbero confermarlo).
Siamo rimasti con le due meravigliose creature marine per diverso tempo, affiancandole durante il loro viaggio attraverso il cuore dell'Oceano Atlantico. Un'emozione intensa, profonda, difficile da descrivere a parole, soprattutto per chi non aveva mai incontrato prima animali così maestosi e intelligenti. Sono i superstiti della nostra barbarie, sovrani indiscussi di un mondo che continuiamo a distruggere e impoverire, nonostante i proclami di facciata a tutela della biodiversità e dell'ambiente. È proprio di questi giorni la notizia che il Giappone riaprirà la caccia alla balenottera comune, il secondo animale più grande della Terra. A causa della baleneria questa specie è ancora oggi classificata come "vulnerabile" nella Lista Rossa dell'Unione Internazionale della Conversazione della Natura (IUCN), ma noi ci permettiamo di ammazzarla per il mero profitto. Le Azzorre sono oggi un posto sicuro per questi animali, ma altrove, purtroppo, non è così. Norvegia, Islanda e altri Paesi continuano a massacrarli. La speranza è che il vento del cambiamento possa raggiungere tutti coloro che si ostinano a perseverare in questa pratica anacronistica e disumana. O forse, sin troppo umana.