Cosa sappiamo sulla variante Omicron 2 presente anche in Italia e perché va monitorata
L'attuale ondata della pandemia di COVID-19 è guidata dalla variante Omicron (B.1.1.529) del coronavirus SARS-CoV-2, un ceppo che rispetto alla Delta si caratterizza per una trasmissibilità sensibilmente superiore (oltre cinque volte); una maggiore elusività nei confronti delle difese immunitarie (sebbene i vaccini proteggano efficacemente contro ricovero e decesso); e una patogenicità fortunatamente ridotta, determinando nella stragrande maggioranza dei casi sintomi assimilabili a un raffreddore. Come qualunque altro lignaggio del patogeno pandemico, tuttavia, la variante Omicron non resta immobile e, replicandosi negli ospiti, dà vita a sottovarianti con mutazioni specifiche. Al momento ce ne sono almeno quattro di particolare interesse (BA.1, BA.2, BA.3 e BA.1.1), delle quali la BA.2, soprannominata “Omicron 2” o “stealth Omicron” (Omicron invisibile), è quella che attualmente sta dando qualche grattacapo in più. La sottovariante è stata rilevata anche in Italia.
In Danimarca Omicron 2 è improvvisamente diventata dominante rispetto alla Omicron 1, mentre in altri Paesi come Svezia, Regno Unito e India la sua prevalenza risulta in aumento; ciò suggerisce che possa trattarsi di una variante ancor più trasmissibile dell'originale. Inoltre a causa di una specifica mutazione (la delezione 69/70) sulla proteina S o Spike è impossibile sospettare la sua presenza direttamente dalla PCR condotta sul tampone, pur essendo (naturalmente) rilevabile dal sequenziamento genomico. Al netto di questi dati, tuttavia, al momento non abbiamo alcuna informazione su una potenziale maggiore virulenza o su una superiore capacità di sfuggire al sistema immunitario, come dichiarato a Liberation dal professor Antoine Flahault, docente di Epidemiologia e direttore presso l'Istituto di Salute globale dell'Università di Ginevra. Ecco perché molti esperti sottolineano di restare sì vigili e attenti, ma non bisogna farsi allarmare dalla diffusione di questo ceppo. Del resto è ampiamente noto che il virus continua a mutare e a generare sottovarianti e nuovi ceppi veri e propri sin dall'inizio della pandemia, come accaduto con le varianti di preoccupazione Alfa, Beta, Gamma, Delta e Omicron. Tutto sta a capire quanto le caratteristiche di BA.2 riescano a farla divergere dal ceppo genitore.
Una caratteristica plausibile della Omicron 2 sembra comunque essere quella maggiore trasmissibilità; basti pensare che in Danimarca in appena 10 giorni è passata dal 2 percento dei sequenziamenti a oltre il 50 percento. Anche i dati nel Regno Unito suggeriscono una maggiore contagiosità della variante, come spiegato su Twitter dal professor Eric Topol, docente di medicina molecolare e cardiologo, oltre che direttore dello Scripps Research Translational Institute di La Jolla (Stati Uniti). La caratteristica è legata al suo patrimonio genetico specifico, che tuttavia non differisce in modo così significativo nella proteina S o Spike, il “gancio” che il virus sfrutta per legarsi alle cellule umane, rompere la parete cellulare, riversare l'RNA virale all'interno e avviare l'infezione (COVID-19). In questa proteina le sottovarianti BA.2 e BA.1 condividono 21 variazioni di amminoacidi, ma Omicron 2 ne ha sei in più rispetto alle 12 uniche di BA.1. Esse sono: D405N, T376A, T19I, S371F, R408S e V213G. Il loro ruolo deve essere ancora determinato dagli esperti, ma come indicato non è assolutamente detto che possa essere più aggressiva ed elusiva a causa di esse.
La principale differenza da Omicron 1 risiede nel gene ORF1ab, che codifica una serie di proteine coinvolte nella replicazione del SARS-CoV-2 e “nell'elaborazione proteolitica delle proteine virali”, come specificato ad ADNKronos dal professor Seppo Meri, docente di Immunologia presso l'Università di Helsinki. “Cosa significhi è ancora una questione aperta”, ha chiosato l'esperto. Per quanto concerne la pericolosità della Omicron, il professor Flahault ha dichiarato a Liberation che in questo momento l'impressione che si ha è che “che la gravità sia paragonabile alla variante classica dei casi Omicron”. “Le prime osservazioni dall'India e dalla Danimarca suggeriscono che non vi è alcuna differenza drammatica di gravità rispetto al BA.1”, gli ha fatto eco in un cinguettio su Twitter il professor Tom Peacock, virologo presso l'Imperial College di Londra. Lo scienziato non solo non ritiene probabile che le differenze nell'efficacia dei vaccini contro Omicron 2 siano minime rispetto a Omicron 1 (nel caso in cui ci fossero), ma non si aspetta nemmeno che la sottovariante possa scatenare una nuova ondata di casi rispetto alla 1. In molti Paesi – Italia compresa – la curva dei contagi ha raggiunto il plateau o sta iniziando a scendere proprio in questi giorni.
È doveroso sottolineare che al momento su Omicron 2 si tratta solo di ipotesi basate sui primi dati epidemiologici; non resta che continuare a monitorarli per capire se davvero questa Omicron 2 possa rappresentare un nuovo problema nella gestione della pandemia, oppure se si tratti di uno dei tanti lignaggi "figli" come se ne sono visti in passato, senza particolari conseguenze nelle ondate.