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Covid 19

Cosa non ha funzionato nella campagna vaccinale anti-Covid della Cina

La minore efficacia dei vaccini di Pechino e la bassa copertura degli anziani si stanno ora misurando con una variante altamente contagiosa come Omicron e il fallimento della politica “zero Covid” inseguita dal Paese.
A cura di Valeria Aiello
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Dopo tre anni di severe restrizioni, la Cina sta assistendo alla sua più grande ondata di Covid. Secondo le stime contenute in un documento della Commissione sanitaria centrale filtrato su Weibo (il Twitter cinese), i contagi avrebbero raggiunto quota 250 milioni nei primi venti giorni di dicembre, pari a quasi il 18% della popolazione. L’aumento improvviso, attribuito alla revoca non pianificata della controversa e contestata politica “zero Covid”, ha però radici più profonde, che con la fine di ogni controllo, restrizione e tracciamento si misurano con una variante altamente contagiosa come Omicron.

La politica "zero Covid" e il flop della campagna vaccinale

Alla base del caso cinese c’è la stessa politica che Pechino ha inseguito nel tentativo di cancellare il coronavirus dal territorio nazionale, che ha mantenuto la popolazione praticamente “naïve”, non avendo quasi mai avuto precedenti esposizioni a Sars-Cov-2. Questa maggiore suscettibilità per la mancanza di un qualche grado di immunità derivata dall’infezione si somma al flop della campagna vaccinale, che ha immunizzato malamente e con vaccini poco funzionanti la popolazione. Le formulazioni utilizzate in Cina, principalmente Coronavac e Sinopharm, non sono infatti paragonabili per efficacia a quelle a mRNA somministrate in Europa e negli Stati Uniti.

Coronavac, in particolare, sviluppato dalla società biofarmaceutica Sinovac, appartiene alla categoria dei vaccini a virus inattivato, dunque a prodotti in cui è presente il virus nella sua forma originaria (quella isolata alla fine del 2019 a Wuhan) ma incapace di replicarsi e causare la malattia. Secondo i risultati di uno studio condotto a Hong Kong, l’efficacia della vaccinazione con Coronavac in due dosi si attesta attorno al 69% negli over 60 (rispetto a quasi il 90% di due dosi di Comirnaty di Pfizer-BioNTech), ma lo stesso studio ha anche evidenziato che, nel confronto con i vaccini a mRNA, gli adulti di età pari o superiore a 60 anni hanno una probabilità di sviluppare forme gravi e fatali di Covid di tre volte superiore rispetto ai vaccinati con due dosi di Comirnaty di Pfizer-BioNTech.

La scarsa copertura degli anziani con la dose booster

Nel frattempo, con l’emergere di Omicron, gli studi effettuati in Europa e Stati Uniti hanno ampiamente accertato che per proteggersi dagli esiti più gravi del Covid era necessaria una dose booster, in grado di ripristinare la protezione. In Cina, tuttavia, alla minore efficacia di base dei vaccini a virus inattivato si è aggiunta la scarsa adesione alla terza dose, che ha lasciato scoperta gran parte degli anziani. Nel complesso, le stime disponibili indicano che appena il 25% della popolazione cinese ha sviluppato una certa risposta immunitaria, da vaccino o infezione, il che con il cambiamento di linea sanitaria da parte delle autorità cinesi sta determinando la tempesta perfetta in termini di contagi. Con le conseguenti ripercussioni sul sistema ospedaliero, come documentato dalle immagini di emergenza che continuano ad arrivare dalla Cina e che mostrano terapie intensive sature di pazienti e camere mortuarie colme di salme che non possono essere accolte nei crematori di Pechino e Shanghai.

Il rischio è che in Cina, con una circolazione del virus così elevata – alcune previsioni calcolano 3,7 milioni di contagi al giorno a metà gennaio e 4,2 milioni a marzo – il virus possa ulteriormente mutare e dare origine a varianti completamente nuove e distanti dal ceppo Omicron contro cui Europa e Stati Uniti stanno completando l’immunizzazione con la quarta dose aggiornata. In tal senso, il sequenziamento dei tamponi rimane essenziale, per intercettare in tempo l’emergere di nuove varianti, tenendo comunque in considerazione che una ricerca ristretta a coloro che arrivano dal Paese asiatico, come disposto dal ministro della Salute Orazio Schillaci, unitamente a un monitoraggio che in Italia non è mai stato paragonabile ai volumi degli altri Paesi europei, può non essere sufficiente a osservare tempestivamente ciò che realmente accade a livello nazionale.

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