Cosa è successo l’ultima volta che la Terra ha sperimentato il riscaldamento globale
La Terra, con i suoi 4,5 miliardi di anni, ha attraversato una serie di variazioni cicliche del suo clima, che gli studiosi sono arrivati a ricostruire fino a circa 2,5 miliardi di anni fa. Ma l’ultima volta che ha sperimentato un evento di riscaldamento con caratteristiche simili a quello che stiamo affrontando oggi risale a 56 milioni di anni fa, quando il nostro pianeta ha visto aumentare le sue temperature globali di 5-8 °C. Questo evento, chiamato Massimo termico del Paleocene-Eocene (PETM) e descritto come “il più grande e rapido disturbo climatico dell’era Cenozoica” (da 65,5 milioni di anni fa ai giorni nostri), si è verificato in risposta ad alte concentrazioni di anidride carbonica (CO2) e metano (CH4) nell’atmosfera, analogamente a quanto sta accadendo oggi. I processi che portarono al rilascio di questi due potenti gas ad effetto serra sono ancora oggetto di discussione, ma i resti geologici di quel periodo stanno offrendo elementi sostanziali alla comprensione dell’evoluzione e delle conseguenze del riscaldamento globale.
La Terra ha già vissuto il nostro futuro climatico
Come premesso, il Massimo termico del Paleocene-Eocene verificatosi 56 milioni di anni fa è un evento che presenta profonde analogie con l’attuale riscaldamento globale. Eccezionale per ampiezza termica (aumento di 5-8°C) e subitaneità (5.000 anni, un tempo molto breve in scala geologica), si ritiene che sia stato causato da un aumento di anidride carbonica e metano nell’atmosfera dovuto alla combinazione di diversi fenomeni, inclusi il rilascio di idrati di metano intrappolati sul fondo marino, l’improvviso e significativo scioglimento del permafrost e l’iniezione di magma nei sedimenti organici del bordo occidentale della Norvegia. L’origine di questi processi non è ancora stata chiarita ma, secondo gli studiosi, potrebbero esserne responsabili l’impatto di un meteorite e/o gli effetti di un’intensa attività vulcanica nelle profondità del Nord Atlantico.
Indipendentemente da come i gas siano stati liberati, l’evento di riscaldamento ha determinato dinamiche climatiche caratterizzate da “un aumento della stagionalità e dell’intensità delle precipitazioni” come recentemente scoperto da un team di ricerca dell'Università di Ginevra (UNIGE) attraverso l’analisi dei sedimenti prelevati dalle profondità del Golfo del Messico. I risultati del loro studio, pubblicati sulla rivista Geology, mostrano che tali precipitazioni portarono al movimento di grandi quantità di argilla nell’oceano, causando l’estinzione di numerose specie marine e terrestri.
In particolare, i ricercatori hanno scoperto che il campione – prelevato a oltre 8 km di profondità nel Golfo del Messico, dove viene scaricato il materiale eroso e trasportato dal continente nordamericano nel corso di milioni di anni – era composto prima da un grande strato di argilla e poi da uno strato di sabbia, un risultato controintuitivo. “Inizialmente pensavamo che il periodo fosse caratterizzato da un aumento del tasso annuo di precipitazioni, e quindi più erosione, e che grandi quantità di sabbia fossero state trasportate prima dai sistemi fluviali negli oceani. Tuttavia, grazie al nostro campione, siamo stati in grado di determinare che sono state le argille e non le sabbie a essere trasportate in prima istanza” ha spiegato Sébastien Castelltort, professore ordinario presso la Sezione di Scienze della Terra e dell'Ambiente della Facoltà di Scienze dell’UNIGE e autore senior dello studio.
Questo ha permesso di stabilire che il periodo non fu caratterizzato da un aumento del tasso annuo di precipitazioni, ma da un aumento della loro stagionalità e intensità che “ha comportato una maggiore mobilità dei canali fluviali – le aree più profonde di un fiume – che a loro volta hanno trasportato grandi quantità di argille fluviali depositate sulle adiacenti pianure alluvionali fino alle profondità oceaniche” ha aggiunto Lucas Vimpere, borsista post-dottorato presso la Sezione di Scienze della Terra e dell’Ambiente della Facoltà di Scienze dell’UNIGE e primo autore dello studio. Il fenomeno ha causato un aumento della torbidità degli oceani, dannoso per la vita marina, in particolare per i coralli.
“Il Massimo termico del Paleocene-Eocene è un potenziale analogo del riscaldamento attuale – ha precisato Vimpere – . E, come mostrano i recenti rapporti dell’IPCC, stiamo assistendo anche a un aumento della stagionalità e dell’intensità delle precipitazioni. Proprio come indicato dal nostro studio, per cui è probabile che ciò destabilizzi i sistemi sedimentari allo stesso modo e con le stesse conseguenze per gli oceani e le specie viventi”.