Cosa c’è nell’acqua del rubinetto di casa: la differenza con quella in bottiglia
La maggior parte degli italiani non beve l'acqua del rubinetto perché non la reputa abbastanza sicura per la proprio salute. Secondo alcune indagini, l'Italia è il secondo Paese al mondo – e il primo in Europa – per il consumo pro capite di acqua minerale, o acqua in bottiglia, nonostante la spesa economica che questo implica.
Una conferma della scarsa fiducia degli italiani nella qualità dell'acqua di rubinetto è stato il boom de vendite di caraffe o brocche filtranti registrato negli ultimi anni. Solo nel 2010 in Italia ne sono state vendute 820.000. L'idea diffusa è che queste servano a rendere più salutare e sicura l'acqua del rubinetto di casa. Tuttavia, questo presuppone che ci siano al suo interno sostanze nocive e che le brocche filtranti in commercio siano in grado di eliminarle.
Cosa c'è nell'acqua del rubinetto
In realtà, questa sfiducia verso l'acqua del rubinetto di casa non ha motivi reali per esistere. Infatti, in Italia l'acqua che arriva nelle case è sottoposta a norme specifiche che ne garantiscono la sicurezza. In genere, l'acqua distribuita attraverso acquedotto viene trattata negli impianti di potabilizzazione e deve aderire a certi standard stabiliti dall'Unione europea e dall'Oms (Organizzazione mondiale di sanità).
L'acqua del rubinetto è quindi sicura. Non solo, un approfondimento dell'Università Ca' Foscari di Venezia spiega che, nonostante sia opinione diffusa che l'acqua in bottiglia è sottoposta a una quantità maggiore di controlli, in realtà le analisi svolte sull'acqua negli acquedotti sono perfino più frequenti e con soglie di sicurezza spesso anche più elevate.
Cosa cambia tra l'acqua del rubinetto e quella in bottiglia
La differenza tra l'acqua di rubinetto e l'acqua minerale sta quindi sostanzialmente nel fatto che la prima viene potabilizzata attraverso l'aggiunta di cloro per eliminare il rischio di contaminazione batterica, spiega ancora l'università veneta. Tuttavia, le dosi di cloro aggiunte all'acqua come disinfettante devono comunque restare sotto le soglie indicate per non diventare nocive per la salute umana.
A cosa servono le brocche filtranti
È proprio questo processo che determina quel sapore giudicato da molti sgradevole. Le brocche filtranti nascono infatti anche per rispondere a questa esigenza di gusto: attraverso dei filtri appositi – esistono quelli a carbone attivo e quelli con resine a scambio ionico – queste caraffe riescono a eliminare il cloro dall'acqua.
Diverse di quelle disponibili in commercio promettono anche di filtrare alcune sostanze ritenute nocive, come nitriti o metalli. Secondo Altroconsumo, la maggior parte di queste brocche riesce a filtrare le molecole più grandi e quindi il cloro, ma resta più difficile la rimozione delle particelle più piccole, come gli inquinanti. Inoltre, le brocche filtranti possono essere usate solo con acqua potabile. Ecco perché, facendo un bilancio tra benefici e costi, Altrconsumo consiglia di scegliere l'acqua del rubinetto.
Il problema dei PFAS: è possibile eliminarli?
C'è però una questione che costituisce tutt'oggi un problema: come eliminare dall'acqua potabile i PFAS, ovvero quel gruppo di circa 15.000 sostanze perfluoroalchiliche. Si tratta di composti chimici industriali così difficili da eliminare che sono stati rinominati "inquinanti per sempre". Oltre ad essere un problema per l'ambiente, se superano certe quantità rappresentano anche un rischio per la salute umana.
In Italia hanno destato grande preoccupazione i livelli di PFAS rintracciati nel 2020 negli acquedotti di un'estesa area del Veneto. Inoltre, il problema non sembra isolato: un report del 2023 di Greenpeace Italia ha rilevato la presenza di PFAS in 11 campioni su 31 di acqua potabile in diversi comuni potabili.
Rispetto alla presenza di PFAS nell'acqua potabile, alcuni studi dell'Università della Carolina del Nord e della Duke University – confermati dall'Istituto superiore di sanità (Iss) – hanno dimostrato che i filtri delle normali caraffe in commercio non riescono a bloccare i Pfas. Gli unici strumenti che si sono rivelati efficaci sono i filtri osmotici e quelli a doppio stadio.