Cosa accadrebbe se l’Italia fosse colpita da un terremoto come quello di Taiwan
Attorno alle 08:00 del mattino di mercoledì 3 aprile 2024 l'isola di Taiwan (Formosa) è stata colpita da un catastrofico terremoto di magnitudo 7.4, che ha provocato danni estesi – compreso il crollo di alcuni palazzi – in particolar modo nell'area di Hualien, città sita a una ventina di chilometri dall'epicentro del sisma. Nel momento in cui stiamo scrivendo si registrano 9 morti e circa 1.000 feriti, ma il dato è in costante aggiornamento a causa dei numerosi dispersi e delle persone rimaste intrappolate in tunnel e miniere. Ciò che è certo è che si è trattato di un evento di estrema potenza, il più forte degli ultimi 25 anni sull'isola asiatica. Lo mostrano le impressionanti immagini divenute virali sui social netowork; tra le più significative si vede un palazzo collassare su un fianco; un autobus che oscilla pericolosamente su una strada; e un uomo immerso in una piscina con l'acqua agitata come un mare in tempesta.
Al netto di un bilancio ancora provvisorio, è chiaro che il numero di vittime risulta essere particolarmente contenuto in relazione all'energia sprigionata dal fenomeno sismico. Per comprenderlo basta osservare la stima delle perdite fatta dallo United States Geological Survey (USGS), in base alla quale è stata calcolata una probabilità di perdere da 1 a 10 vite umane al 39 percento e da 10 a 100 vite al 10 percento. Per fare un confronto, per il terremoto di magnitudo 7.8 che colpì la Turchia e la Siria il 6 febbraio del 2023, l'USGS aveva stimato da 10.000 a 100.000 morti con una probabilità del 35 percento e oltre 100.000 con una del 24 percento (le vittime accertate sono state circa 60.000). Queste stime vengono calcolate sulla base di molteplici parametri, tra i quali figurano la densità della popolazione nell'area coinvolta, i dati storici dei terremoti avvenuti nel passato e la qualità costruttiva degli edifici.
È evidente che la differenza sostanziale tra le stime dei due eventi sopracitati risiede proprio nei criteri antisismici con cui sono state realizzate le abitazioni. Gli edifici più vulnerabili sono quelli “con muratura in mattoni non rinforzata e il basso telaio in cemento non duttile con costruzione di riempimento” spiega l'USGS; in Turchia e in Siria moltissime costruzioni distrutte dal terremoto del 2023 erano realizzate proprio con questi metodi, mentre a Taiwan sono venuti giù solo i palazzi più vecchi. L'abitato moderno dell'isola, del resto, è in grado di resistere a terremoti molto più forti di uno di magnitudo 7.4, ed è proprio per questo che si sono registrate così poche vittime. Basti citare il caso dell'enorme torre di Taipei (Taipei 101), salvata da una gigantesca sfera sospesa tra il 92° all’87° piano dell'edificio. Si tratta del più grande sistema di smorzamento al mondo, in grado di compensare le oscillazioni innescate da un terremoto catastrofico.
Ma cosa accadrebbe se un sisma di magnitudo 7.4 analogo a quello di Taiwan colpisse l'Italia? L'esito, purtroppo, non sarebbe troppo differente da quello osservato in Turchia, sebbene sullo "Stivale" la situazione abitativa sia complessivamente migliore. Come specificò a Fanpage.it il dottor Guido Ventura, Primo Ricercatore dell'INGV e associato del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), un terremoto di questa portata si è già verificato nel nostro Paese, nel 1908. Si tratta di quello sullo Stretto di Messina (magnitudo 7.1) che provocò circa 100.000 morti, il più catastrofico in assoluto nel nostro Paese. "Oltre a produrre danni enormi, con distruzione molto avanzata – se non totale – delle città di Reggio Calabria e Messina, ha anche innescato delle frane sottomarine, uno tsunami", aveva affermato il dottor Ventura. "Questi sono essenzialmente gli effetti di un terremoto di questa magnitudo in una zona come l'Italia. E soprattutto l'Italia meridionale, che appunto nella sua storia sismica ha avuto scosse di magnitudo comparabile a quella del terremoto in Turchia. Quindi danni notevoli, non solo alle zone urbane, ma a tutte le infrastrutture. Strade, ponti, elettrodotti, metanodotti, comunicazioni e chi più ne ha più ne metta. Questo è il quadro che si evince”, ha chiosato lo scienziato.
Il problema principale in Italia risiede nel fatto che abbiamo un ricchissimo patrimonio di edifici storici e un numero significativo di costruzioni eseguite prima dell'introduzione delle norme antisismiche, pertanto molte abitazioni sono a rischio crollo nel caso in cui venissero esposte a un sisma di magnitudo 7 o superiore (la magnitudo si basa su una scala logaritmica e per ogni punto in più l'energia sprigionata aumenta di circa 30 volte). Ma anche a magnitudo inferiori possono accadere catastrofi, soprattutto nei casi di ipocentro superficiale. Si ricordino il terremoto del Friuli del 1976 (magnitudo 6.4), con quasi 20.000 abitazioni distrutte e un migliaio di morti; quello dell'Irpinia del 1980 (magnitudo 6.9) con centinaia di migliaia di case danneggiate e oltre 2.700 morti; e quello della Calabria meridionale del 1783, con un bilancio di vittime compreso tra le 30.000 e oltre 50.000. Tra gli eventi più recenti segnaliamo anche il terremoto de L'Aquila del 2009 (magnitudo 5,9, 309 morti) e la serie sismica del Centro Italia del 2016, con scosse principali di magnitudo 6. Anche in questo caso i morti furono oltre 300.
Rispetto a Turchia e Siria “siamo messi meglio”, spiegava il dottor Ventura, ma è chiaro che sussiste il problema dell'edificato storico e quello abitativo non di pregio realizzato prima delle norme antisismiche. Uno degli esempi più significativi riguarda proprio l'area di Messina e Reggio Calabria, che dovrebbe essere unita dal ponte sullo Stretto da circa 15 miliardi di Euro. Come sottolineato a Fanpage.it dal geologo Mario Tozzi, Primo Ricercatore del CNR, divulgatore scientifico e presentatore TV, il ponte “rischia di unire due cimiteri”, proprio perché moltissimi degli edifici presenti non sono costruiti con criteri antisismici e l'area è tra le più sismiche del Paese, come sottolineano le devastazioni del 1908. Alla luce di queste premesse, in tanti si chiedono se non sia più giusto spendere questa cifra per mettere in sicurezza gli edifici, anziché costruire un ponte dalla "dubbia utilità".
Mario Tozzi è nuovamente tornato sulla questione con un post su Facebook, scritto proprio a seguito del terremoto Taiwan. “Un sisma di magnitudo paragonabile a quella di Taiwan, da noi, avrebbe raso al suolo molte città e probabilmente ucciso decine di migliaia di persone. M=7,4 Richter, con quegli altri parametri, e "solo" (si fa per dire) alcune decine di vittime, significa che hai costruito bene, nonostante i mostruosi effetti-sito”, spiega il geologo. “Viene un'idea su dove sarebbe meglio investire 14 mld di euro di denaro pubblico. Ma sarebbe da Paese civile che ristruttura per il futuro, pianifica e tiene conto delle priorità e delle generazioni future”, ha chiosato provocatoriamente lo scienziato.
Mettere in sicurezza l'intero complesso urbanistico datato italiano, a partire dall'edificato presente nelle zone di rischio più significative, è chiaramente un intervento colossale che richiederebbe risorse ingentissime dal pubblico e dal privato. Ciò nonostante dovrebbe essere comunque in cima alla lista dei decisori politici, proprio alla luce dei rischi intrinseci del nostro territorio, che ciclicamente torna a presentarci un conto salatissimo in termini di vite umane perdute e danni.