Con la variante Omicron meno probabile il ricovero, ma gli ospedali rischiano comunque il collasso
Continuano ad arrivare indizi sulla potenziale, ridotta aggressività della variante Omicron del coronavirus SARS-CoV-2, che causerebbe un numero inferiore di casi gravi – e dunque meno ricoveri – rispetto alla variante Delta. I nuovi dati sono relativi a tre studi preliminari condotti in Scozia, Inghilterra e Sudafrica non ancora sottoposti a revisione paritaria, ma che risultano significativi dal punto di vista statistico. Da quando la nuova variante di preoccupazione è emersa in Sudafrica, alla fine di novembre, i medici hanno osservato una morbilità inferiore e una sintomatologia generalmente più assimilabile a quella di un raffreddore che a quella di un'influenza severa (pur non mancando casi gravi e decessi). Tale ridotta aggressività sarebbe associata al numero significativo di mutazioni a carico della proteina S o Spike, che secondo uno studio deriverebbe almeno in parte dall'acquisizione di un frammento genetico di un coronavirus del raffreddore.
Nella ricerca “Early assessment of the clinical severity of the SARS-CoV-2 Omicron variant in South Africa” gli scienziati guidati dalla professoressa Cheryl Cohen del National Institute for Communicable Diseases hanno rilevato che chi viene contagiato dalla variante Omicron ha l'80 percento di probabilità in meno di finire in ospedale rispetto a chi contrae la Delta, tenendo presenti fattori di rischio come età, comorbilità, obesità e altro. “In Sudafrica, l'epidemiologia è questa: Omicron si sta comportando in modo meno grave”, ha affermato la professoressa Cohen. Il dato è stato ottenuto mettendo a confronto i dati epidemiologici della pandemia di COVID-19 relativi a ottobre e novembre, confrontando i tassi di ospedalizzazione dei due diversi lignaggi. Va tenuto presente che in Sudafrica la popolazione ha un'età media molto bassa (meno di 28 anni) contro gli oltre 47 dell'Italia, dunque non è affatto detto che tali risultati – qualora venissero essere confermati – possano essere replicati anche in Paesi molto più "anziani".
Un altro studio sibillino è “Severity of Omicron variant of concern and vaccine effectiveness against symptomatic disease: national cohort with nested test negative design study in Scotland” condotto da scienziati dello Usher Institute dell'Università di Edimburgo e altri centri di ricerca scozzesi. In questo caso sono stati analizzati i casi di contagio di novembre e dicembre, raggruppati in base alla variante responsabile dell'infezione. Mettendo a confronto i dati dell'Early Pandemic Evaluation and Enhanced Surveillance of COVID19 (EAVE II) è emerso che i pazienti contagiati dalla variante emersa in Sudafrica avevano circa il 66 percento delle probabilità in meno di sviluppare la forma grave della COVID-19 ed essere ricoverati in ospedale. "Questi primi dati nazionali suggeriscono che Omicron è associata a una riduzione di due terzi del rischio di ricovero per COVID-19 rispetto a Delta", hanno scritto gli scienziati nell'abstract dello studio. "Pur offrendo la massima protezione contro Delta, la terza dose di vaccino/di richiamo offre una protezione aggiuntiva sostanziale contro il rischio di COVID-19 sintomatica per Omicron rispetto a ≥25 settimane dopo la seconda dose di vaccino", hanno concluso i ricercatori guidati dal professor Aziz Sheikh, sottolineando l'importanza della dose booster contro il virus.
Il terzo e ultimo studio a suggerire una ridotta morbilità della variante Omicron è “Report 50 – Hospitalisation risk for Omicron cases in England” condotto in Inghilterra da scienziati del WHO Collaborating Centre for Infectious Disease Modelling in collaborazione con quelli del Jameel Institute presso l'Imperial College di Londra. I ricercatori in questo caso hanno osservato una riduzione del rischio di ricovero in ospedale (per almeno una notte) da variante Omicron del 40-45 percento rispetto a quello di Delta. Il team guidato dal professor Neil Ferguson ha anche rilevato che qualunque visita in ospedale per variante Omicron risultava ridotta del 20-25 percento rispetto alla Delta (il riferimento è anche ai controlli rapidi in giornata). “Sebbene il ridotto rischio di ricovero con la variante Omicron sia rassicurante, il rischio di infezione rimane estremamente alto. Con l'aggiunta della dose di richiamo, i vaccini continuano a offrire la migliore protezione contro l'infezione e il ricovero”, ha affermato il coautore dello studio Azra Ghani dell'Imperial College di Londra.
Un altro studio britannico ha rilevato che oltre il 50 percento dei casi di variante Omicron non presenta i tre sintomi tipici della COVID-19, ovvero febbre, tosse e perdita dell'olfatto (anosmia), manifestandosi in modo non troppo dissimile da un raffreddore. Nonostante questi dati siano in qualche modo promettenti, pur essendo tutti da confermare, gli esperti sottolineano che l'estrema contagiosità della variante Omicron può annullare gli effetti positivi del numero inferiore di casi gravi. Un numero enorme di positivi può infatti portare comunque gli ospedali e i reparti di terapia intensiva al collasso, come evidenziato da questo grafico. Pertanto restano fondamentali la vaccinazione e il rispetto delle misure anti Covid di base, ovvero mascherine, distanziamento sociale e igiene delle mani.