Come i PFAS abbattono la fertilità: il meccanismo svelato da una ricerca italiana
Un nuovo studio italiano ha scoperto il motivo per cui le sostanze perfluoroalchiliche, meglio note con l'acronimo di PFAS, sono in grado di abbattere la fertilità. In parole semplici, esse si legano a una proteina sulla superficie dello spermatozoo impedendogli di unirsi all'ovocita, di fatto inducendo un significativo rischio di infertilità. I PFAS, conosciuti come “sostanze chimiche per sempre” a causa della notevole persistenza nell'ambiente, sono tra i principali inquinanti al mondo per via del loro massivo utilizzo in una moltitudine di prodotti di uso comune. Non a caso se ne conoscono oltre 12.000. Trattandosi di interferenti endocrini, cioè composti in grado di interferire con gli ormoni, tra le principali conseguenze sulla salute vi sono proprio quelle a carico della fertilità e dello sviluppo, pur essendo state associate a cancro, diabete e numerose altre patologie. Un recente studio dell'Università della California Meridionale, ad esempio, ha determinato che sono in grado di fare danni ai reni attraverso l'alterazione del microbiota intestinale.
L'impatto complessivo dei PFAS sulla salute non è ancora pienamente compreso, ma è chiaro che la loro enorme diffusione rappresenta un problema grave che in alcune regioni rappresenta una vera e propria emergenza (anche in Italia), a causa del fatto che possono contaminare le falde acquifere e finire nell'acqua di rubinetto che beviamo. A svelare il nuovo meccanismo biologico che permette alle sostanze chimiche per sempre di abbattere la fertilità è stato un team di ricerca guidato da scienziati del Dipartimento di Medicina dell'Università di Padova, in stretta collaborazione con i colleghi del Dipartimento di Neuroscienze.
I professori Carlo Foresta, Alberto Ferlin e Diego Guidolin hanno dimostrato che i PFAS si legano alla proteina Izumo-1 sulla membrana dello spermatozoo, alterandone la struttura e impedendogli di fatto di legarsi alla proteina omologa Juno, che si trova sulla membrana esterna dell'ovocita. In pratica, viene alterata una chiave che non è più in grado di inserirsi nella sua serratura; ciò blocca la fusione tra le due proteine che è alla base del concepimento. In studi su modelli murini (topi) geneticamente modificati per non esprimere Izumo-1 e Juno è stato dimostrato che l'assenza di tali proteine innesca l'infertilità. Il fatto che non possa avvenire la fusione comporta il medesimo problema. La fecondazione effettiva, lo ricordiamo, avviene quando il citoplasma dell'uovo ingloba lo spermatozoo e avviene il trasferimento del nucleo, il meccanismo che dà inizio al meraviglioso processo della vita.
“I risultati ottenuti sono fondamentali nella comprensione del meccanismo che porta a infertilità nelle popolazioni esposte ai PFAS”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Carlo Foresta, presidente dell'omonima fondazione. “Dopo le pluriennali ricerche che avevano evidenziato diverse alterazioni a carico degli spermatozoi, quest’ultimo tassello permette di comprendere come queste sostanze siano in grado non solo di ridurre il numero di spermatozoi e di legarsi ad essi riducendone la motilità, ma, anche qualora uno spermatozoo riuscisse a raggiungere comunque l’ovocita, per via naturale o tramite tecniche di fecondazione in vitro, la sua capacità di fecondarlo sarebbe comunque significativamente ridotta per effetto del legame dei PFAS a questa fondamentale proteina”, ha chiosato l'esperto.
Si tratta di un problema grave di salute pubblica nel contesto di una vera e propria crisi della fertilità, legata anche al crollo degli spermatozoi registrato nell'ultimo mezzo secolo. Secondo uno studio della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York tra il 1973 e il 2018 la conta degli spermatozoi è calata dell'1,1 percento all'anno passando da 101,2 milioni a 49 milioni per millilitro di sperma. La causa principale sarebbe l'esposizione a due pesticidi, cui si aggiunge anche il problema dei PFAS. Di questo passo si rischia l'infertilità della nostra specie (Homo sapiens) entro il 2060, sebbene un altrostudio danese non abbia trovato i medesimi risultati.
I risultati della nuova ricerca condotta dall'Università di Padova sono stati presentati al XXXIX Convegno di Endocrinologia e medicina della riproduzione tenutosi presso presso l’Aula Magna del Palazzo del Bo dell’ateneo veneto. Il tema di quest'anno è stato proprio “La denatalità e la sessualità tra ambiente e aging”.