Come fanno gli animali a ricordare la rotta della migrazione e a conoscerla senza averla mai fatta
Siamo nella prima parte della primavera e la migrazione degli uccelli dall'Africa verso l'Europa è ancora in pieno svolgimento. Stanno tornando nel Vecchio Continente per riprodursi e poi spiccheranno nuovamente il volo verso sud con l'approcciarsi dell'autunno. Quella di rondini, upupe, averle, balie, ghiandaie marine, gruccioni, torcicolli, bianconi e un'infinità di altre specie di volatili è indubbiamente la migrazione più nota, anche perché determina un cambiamento significativo in ciò che vediamo e ascoltiamo intorno a noi, ma in realtà sono miliardi gli animali di vari gruppi tassonomici che compiono questi viaggi estenuanti, lunghissimi e ciclici.
Mammiferi, pesci, rettili e persino invertebrati come gli insetti sono coinvolti nelle grandi migrazioni. In questo momento, ad esempio, le balene dalle zone equatoriali e temperate degli oceani si stanno dirigendo verso le fredde e pescose acque del Polo Nord, le gazzelle si stanno spostando dal Serengeti meridionale a quello centrale, mentre una moltitudine di anguille sta raggiungendo (o ha già raggiunto) il Mar dei Sargassi – un mare nel cuore dell'Oceano Atlantico – dopo un viaggio di mesi, dove si riprodurrà e morirà. È anche in corso anche la migrazione delle farfalle monarca nell'America settentrionale, uno spettacolo incredibile che coinvolge milioni di esemplari.
Qualunque sia la specie coinvolta, la migrazione è uno dei comportamenti più affascinanti e ricchi di mistero, del quale solo in tempi recenti ne sono state comprese le dinamiche. Basti sapere che in passato alcuni studiosi ritenevano che gli uccelli migrassero sulla Luna, oppure che le anguille nascessero direttamente dal fango. Oggi, grazie alla tecnologia e agli studi di grandi scienziati come l'etologo e zoologo Konrad Lorenz, ne sappiamo molto di più. Ciò che è certo è che diversi comportamenti migratori sono emersi a seguito della deriva dei continenti, che hanno costretto gli animali ad attraversare mari, oceani e deserti per raggiungere i siti dove riprodursi o trovare cibo. L'alternanza delle stagioni, del resto, determina cambiamenti significativi sulla disponibilità delle risorse, pertanto lo spostamento di massa è necessario per continuare a sopravvivere e prosperare. La spinta alla migrazione è legata a molteplici fattori, tra i quali figurano il fotoperiodo, cioè la durata delle ore di luce e oscurità, le variazioni di temperatura e la genetica.
Grazie a esperimenti condotti con oche selvatiche, capinere e altre specie, i ricercatori hanno scoperto che gli animali possiedono nel proprio DNA dei geni intimamente connessi col comportamento migratorio. Quando è il momento di spostarsi, gli uccelli migratori vanno incontro a variazioni ormonali che li porta verso una frenesia comportamentale (zugunruhe o ansia da migrazione) che li spinge a raggrupparsi e prepararsi al viaggio, ad esempio accumulando tanto grasso prima di spiccare il volo verso la destinazione finale (molti non si nutrono fino alla meta, riducendo drasticamente il proprio peso). Anche piccoli passeriformi di pochi grammi compiono vere e proprie imprese, come ad esempio il pettazzurro, che dalla Siberia arriva in Italia per svernare. Ma come fanno gli animali migratori a ricordare la rotta o a conoscerla senza averla mai fatta? I fattori coinvolti sono diversi.
Grazie alla già citata genetica, gli animali sono sensibili ai cambiamenti ambientali e ormonali e si preparano a raggiungere il proprio obiettivo. Nei loro geni è infatti impressa la capacità innata di prendere una determinata direzione, che viene seguita col supporto di vari sensi e in molti casi anche grazie all'apprendimento sociale. Basti pensare al progetto di reintroduzione dell'ibis eremita, nel quale i giovani esemplari vengono istruiti alle antiche rotte migratorie con l'ausilio di piccoli velivoli (in condizioni squisitamente naturali l'esempio arriva dai propri compagni). La vista è inoltre fondamentale, non solo per ricordare esattamente la posizione del sito di nidificazione – molti uccelli tornano esattamente allo stesso posto degli anni precedenti – ma anche per osservare la posizione delle stelle, che fanno da guida durante la navigazione notturna allo stesso modo di laghi, fiumi e altre caratteristiche geografiche di giorno.
Esperimenti condotti sin dagli anni '70 del secolo scorso con cieli stellati finti, come quelli condotti dell'etologo Stephen Emlen in un planetario, hanno dimostrato inequivocabilmente che gli uccelli usano il firmamento per orientarsi durante la migrazione. Infine è coinvolto il senso più straordinario, ovvero la capacità di percepire il campo magnetico della Terra (magnetoricezione). Grazie ad esso gli animali sono in grado di orientarsi lungo le sue linee e seguire la rotta verso la destinazione finale. È ritenuto un senso particolarmente importante nella navigazione di alcuni cetacei, tanto che in occasione di severe tempeste solari, in grado di perturbare la magnetosfera terrestre, sono stati documentati spiaggiamenti di massa dei mammiferi marini.