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Come capire se hai l’ADHD o sei solo distratto, l’esperto: “È un disturbo psichiatrico, non un gioco”

Il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, anche noto come ADHD, si manifesta nei primi anni di vita, ma può essere diagnosticato anche in età adulta. Negli ultimi tempi se ne parla sempre più spesso, sopratutto sui social, ma attenzione a non confondere un carattere poco attento e sbadato per un segnale del disturbo che invece per essere diagnosticato richiede una serie di controlli e visite mediche molto scrupolose.
Intervista a Prof. Gian Marco Marzocchi
Professore associato di Psicologia dello Sviluppo presso l'Università di Milano Bicocca
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Se sei una persona distratta, dimentichi i tuoi appuntamenti e almeno una volta al giorno pensi di aver perso il cellulare, probabilmente ti sei chiesto se soffri di ADHD, soprattutto in quest'ultimo periodo. Da qualche tempo infatti si parla sempre più spesso del disturbo da deficit di attenzione ed iperattività o DDAI (questo è il nome in italiano), soprattutto sui social, dove diversi utenti hanno iniziato a raccontare la propria vita dopo la diagnosi. A volte, in chiave anche piuttosto ironica: parliamo di contenuti video del tipo "Ecco com'è essere fidanzato di una ragazza con ADHD" o "Provare ad avere una vita normale con ADHD".

In realtà, se da una parte questi contenuti possono contribuire a rimuovere lo stigma che per anni hanno subito le persone affette da questo disturbo, dall'altra potrebbero rischiare di banalizzarlo. L'ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) è infatti un disturbo psichiatrico che si manifesta nei primi anni di vita, comunque entro i sette anni, con sintomi pervasivi e incontrollabili tali da ostacolare il normale svolgimento della vita quotidiana.

Per capire meglio in cosa consiste l'ADHD, come si riconosce e soprattutto come non confondere l'essere distratti o sbadati con i sintomi propri del disturbo, Fanpage.it ha intervistato Gian Marco Marzocchi, professore associato di Psicologia dello Sviluppo presso l'Università di Milano Bicocca e fondatore del Centro per l'Età Evolutiva di Bergamo.

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Come si riconosce l’ADHD in un bambino?

La diagnosi di ADHD è molto complessa, soprattutto perché si corre il rischio di confondere per sintomi quelli che sono invece possibili aspetti caratteriali del bambino. In genere possiamo dire che i criteri per diagnosticare la presenza di questo disturbo sono tre: difficoltà di attenzione, iperattività e impulsività. Ma questo non significa che un bambino un po’ sbadato o agitato ha l’ADHD. Per poter anche solo sospettare la presenza di questo disturbo è necessario che questi sintomi siano pervasivi.

Ci spieghi meglio cosa intende per sintomi “pervasivi".

Per poter parlare di ADHD i tre gruppi di sintomi devono essere pervasivi, nel senso che devono essere presenti in tutti i contesti di vita del bambino, non solo in quelli in cui potrebbe annoiarsi. Facciamo un esempio: il bambino a cui piace giocare a calcio ma che nonostante ciò non presta attenzione alle indicazioni del mister o non rispetta le regole, potrebbe avere l’ADHD.

Quali comportamenti possono essere confusi con ADHD?

Non si può parlare di ADHD se un bambino manifesta iperattività solo in determinate situazioni (come ad esempio stare seduto tanto tempo al ristorante) oppure con alcune persone, ad esempio quando fa i capricci con i genitori perché vuole ottenere qualcosa. Nel primo caso l’iperattività è fisiologica perché serve al bambino per la sua crescita, nel secondo caso è da considerare una provocazione o una richiesta, più che iperattività.

Non si corre il rischio quindi di scambiare un carattere vivace con un disturbo da ADHD?

È importante distinguere un bambino vivace da uno iperattivo. Entrambi si muovono molto ma se al primo viene chiesto di controllarsi e fermarsi è in grado di farlo mentre il secondo riesce a fermarsi per qualche minuto al massimo ma poco dopo riprende a muoversi in modo ancora più intenso. Non riesce a controllarsi.

Allora come si riconosce l’iperattività da ADHD?

Il bambino con ADHD non riesce a controllare la sua iperattività, a prescindere dal contesto, perché ha continuamente bisogno di trovare nuovi stimoli che gli permettano di alimentare il suo bisogno di novità. La sua iperattività è così presente da interferire con la vita del bambino, sia scolastica che sociale.

Come si manifesta l’impulsività da ADHD? 

Il bambino impulsivo con ADHD può ad esempio rispondere a una domanda in modo superficiale, senza aver compreso davvero la domanda. Questo aspetto è una conseguenza della sua mancanza di autocontrollo e della sua disattenzione, che non gli consenteno di approfondire la richiesta. L’ADHD impedisce al bambino di dedicare l’attenzione opportuna alla valutazione delle circostanze e delle informazioni che gli vengono dal mondo esterno o alla valutazione dei pro e contro delle proprie affermazioni, quando si tratta di rispondere a qualcuno.

Conosciamo le cause di questo disturbo?

Secondo uno studio di Steven Faraone, uno dei più autorevoli ricercatori al mondo sull'ADHD, il 75% delle cause sarebbe di natura genetica. Tuttavia, natura genetica non significa che ci sia una diretta trasmissione del disturbo da genitori a figli, ma che questo può essere causato da delle alterazioni genetiche nel bambino, a volte anche del tutto casuali, che determinano la disposizione innata a manifestare questo disturbo del neurosviluppo.

Quanto è davvero diffuso l’ADHD?

Secondo i manuali diagnostici l’ADHD interessa tra il 3 e il 5% della popolazione tra i 6 e i 18 anni. Stiamo parlando potenzialmente di mezzo milione di bambini. In realtà, l’Iss ha stimato una percentuale più cauta dell’1%. Probabilmente la stima più attendibile è del 3% di tutti i bambini o minori: quindi parliamo di circa 300.000 bambini.

Può essere diagnosticato in età adulta?

Si tratta di un disturbo del neurosviluppo quindi si manifesta inizialmente nell’infanzia ma  può persistere anche in età adulta. Tuttavia, può succedere – ed è così per la maggior parte dei 300.000 casi di cui parlavamo prima – che l’ADHD non venga diagnosticato durante l’infanzia.

Quali sono le cause delle diagnosi mancate?

In linea di massima sono due le cause. O perché i genitori non hanno ritenuto necessario sottoporre il figlio a una valutazione diagnostica o perché durante la crescita il bambino ha adottato delle strategie di compenso. Ma crescendo le richieste da parte della società aumentano fino a rendere evidente il disturbo.

Come mai si parla di una sovrastima delle diagnosi di ADHD?

Già prima dell’avvento dei social l’utilizzo di alcuni test veloci con il solo elenco dei sintomi, potrebbero aver portata a un forte aumento delle diagnosi: in un certo periodo si stimava che il 20% dei bambini avesse l’ADHD. Chiaramente non era una stima realistica: la maggior parte erano falsi positivi dovuti all’inadeguatezza di questi test a diagnosticare il disturbo.

Quali possono essere le conseguenze di un eccesso di diagnosi?

Questo aumento delle diagnosi è un fenomeno grave soprattutto se è associato a un tentativo di medicalizzazione automatica, ovvero di terapia a base farmacologica. Tuttavia in Italia non corriamo questo rischio, innanzitutto perché la diagnosi si basa un protocollo piuttosto rigido che dal 2007 impone una lunga serie di valutazioni mediche e psicologiche. Inoltre in Italia esiste un registro controllato dal servizio pubblico della Neuropsichiatria che consente la terapia farmacologica solo in presenza di un insieme di molteplici condizioni di salute del bambino. Lo dimostra il fatto che in Italia su un potenziale di 300.000 bambini solo circa 3.000 sono in cura farmacologica, ovvero l’1% dei bambini con diagnosi.

Cosa pensa allora dei test che oggi si trovano online o sui social del tipo “Scopri se hai l’ADHD in 10 minuti”?

Ovviamente non possono essere ritenuti attendibili per una diagnosi. Sono diverse  le situazioni che potrebbero far pensare all'ADHD, ma è solo lo specialista che è in grado di soppesare tutte le informazioni raccolte e non si può delegare la diagnosi al paziente, tanto meno con poche domande auto-compilate.

Sui social vediamo sempre più spesso contenuti quasi ironici sul tema da parte di ragazzi che raccontano la loro vita con l’ADHD. Secondo lei possono riuscire a normalizzare il disturbo?

Da una parte questa narrazione social che si sta affermando negli ultimi tempi potrebbe avere una funzione positiva perché può contribuire a superare tutti quei pregiudizi che purtroppo per molto tempo hanno subito i bambini con ADHD.

Dall'altra?

Dall’altra però questi contenuti potrebbero avere degli aspetti negativi: il primo riguarda il pericolo dell’autodiagnosi che nella maggior parte dei casi non sono attendibili, ma soprattutto non va sottovalutato il rischio che il disturbo venga banalizzato e ridicolizzato. Non dimentichiamoci che l’ADHD è un disturbo psichiatrico e quando è presente ha un impatto disfunzionale sulla vita del bambino o dell’adulto. Non basta essere un po’ sbadati o poco attenti per dire di avere un disturbo psichiatrico e far passare questo potrebbe essere dannoso per chi convive davvero con questo disturbo.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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