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Coca-Cola ritirata per presenza di clorato: da dove arriva e quali sono le dosi da non superare

In diversi Paesi europei (ma non in Italia) è stato disposto il ritiro di vari lotti di Coca-Cola e altre bevande a causa della presenza di livelli elevati di clorato. Come può finire questo composto chimico nei prodotti alimentari e quali sono le dosi da non superare secondo le indicazioni dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (ESFA).
A cura di Andrea Centini
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La società belga responsabile dell'imbottigliamento di Coca-Cola, Fanta, Sprite e altre note bibite analcoliche ha annunciato il ritiro di alcuni lotti di prodotti in vari Paesi dell'Unione Europea, tra i quali Francia, Germania e Gran Bretagna. L'Italia non è coinvolta. Il ritiro, relativo ai codici di produzione dal 328GE al 338GE, riguarda sia le lattine che le bottiglie. La ragione risiede in livelli eccessivi di clorato all'interno delle bevande, rilevati durante un controllo di routine sulla sicurezza alimentare. Il clorato è un composto chimico derivato dai disinfettanti a base di cloro ampiamente utilizzati nel trattamento dell'acqua e nella lavorazione dei prodotti alimentari. Poiché l'esposizione a questa sostanza può rappresentare un potenziale pericolo per la salute, i prodotti che presentano concentrazioni superiori rispetto a quelle indicate dall'Autorità europea per la sicurezza alimentare (ESFA) vengono ritirati dal mercato.

Cos'è il clorato

Il clorato è uno ione del cloro con formula CLO3. Con questo nome vengono chiamati anche i composti chimici che lo contengono, come ad esempio il clorato di potassio e il clorato di sodio. Poiché sono potenti ossidanti, instabili ed esplosivi, i clorati in passato venivano spesso utilizzati in pirotecnica; oggi sono generalmente preferiti composti più sicuri e controllabili. Il clorato rilevato nelle lattine di Coca-Cola e altre bevande è un sottoprodotto dei disinfettanti utilizzati per trattare l'acqua potabile. Tali disinfettanti vengono usati anche sulle attrezzature necessarie per la lavorazione degli altrimenti. Fra quelli che vengono impiegati nel settore industriale ci sono ad esempio il biossido di cloro e l'ipoclorito di sodio; entrambi possono rilasciare clorato nei processi di disinfezione.

Questa sostanza, come spiegato dall'Unione Europea, è stata individuata negli alimenti per la prima volta nel 2014; l'anno successivo l'ESFA ha determinato che le concentrazioni di clorato nell'acqua potabile e nei prodotti alimentari erano significative e potevano avere un impatto sulla salute, in particolar modo per quella dei più piccoli. Pertanto sono state introdotte rigide misure di controllo per verificare che i livelli di clorato all'interno degli alimenti e dell'acqua non superino il limite stabilito dalla UE. In passato il clorato era utilizzato come pesticida ma non è più approvato come tale nella UE, pertanto per i prodotti alimentari si prende come riferimento la legislazione sul livello massimo dei residui LMR, il regolamento (CE) 396/2005. È stato stabilito che le concentrazioni di clorato non devono superare 0,01 mg/kg.

I rischi del clorato per la salute e i livelli raccomandati

Il clorato è considerato pericoloso per la salute perché può inibire l'assorbimento dello iodio e compromettere il funzionamento della tiroide. I rischi riguardano principalmente i bambini e i neonati che hanno carenze di iodio. Questo elemento è infatti fondamentale per la sintesi degli ormoni tiroidei come la tiroxina, associati a sviluppo, crescita e processi metabolici. Livelli elevati del composto, inoltre, possono alterare la funzionalità dell'emoglobina e innescare insufficienza renale.

Alla luce di tali rischi, l'ESFA ha determinato delle soglie di sicurezza relative all'esposizione cronica (prolungata nel tempo) e acuta, cioè quella di un giorno. La principale fonte di esposizione al clorato è l'acqua potabile (60 percento), ma anche altri prodotti alimentari possono essere coinvolti; tra quelli più interessati vi sono frutta e verdura, in particolar modo congelate. Per quanto concerne l'esposizione cronica, l'ESFA ha fissato una dose giornaliera tollerabile (TDI) pari a 3 microgrammi per kg (µg/kg) di peso corporeo al giorno. Per quella acuta è stata invece determinata una dose di 36 µg/kg di peso corporeo al giorno. L'ESFA ritiene comunque improbabile che l'esposizione derivata dall'acqua potabile e dai prodotti alimentari possa superare le soglie di sicurezza, quindi si agisce sempre come principio di precauzione.

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