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Cervello di maiale rianimato un’ora dopo la morte per arresto cardiaco: il controverso esperimento

Un team di ricerca cinese è riuscito a ripristinare la funzione elettrica del cervello dei maiali circa un’ora dopo la morte. Possibili nuove procedure di rianimazione per ampliare la finestra di recupero di pazienti colpiti da arresto cardiaco.
A cura di Andrea Centini
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I ricercatori sono stati in grado di rianimare il cervello di alcuni maiali circa un'ora dopo il decesso avvenuto per arresto cardiaco e circolatorio. In altri termini, hanno ripristinato la funzionalità cerebrale (elettrica) dopo la morte, che è rimasta rilevabile per diverse ore prima dello spegnimento dell'esperimento. I risultati migliori sono stati ottenuti integrando il fegato nel macchinario di supporto vitale utilizzato dagli scienziati per riattivare i cervelli dei suini, indotti in una condizione di ischemia generale. Quando l'organo per filtrare il sangue è stato aggiunto, le lesioni cerebrali innescate dall'arresto cardiocircolatorio si sono ridotte significativamente, così come sono aumentate l'attività dei neuroni e quella elettrica. Questi controversi esperimenti con i maiali, che impongono importanti riflessioni etiche, aiuterebbero i medici a comprendere come poter migliorare le probabilità di ripristino della funzione cerebrale dopo un arresto cardiaco, aumentando il tempo a disposizione per la rianimazione e dunque salvare la vita.

Come evidenziato dagli esperti di medicina di emergenza, le procedure di rianimazione cardiopolmonare dopo un arresto cardiaco dovrebbero iniziare entro due minuti dall'evento improvviso. A tre minuti, infatti, aumenta in modo significativo il rischio di danni cerebrali irreversibili a causa dell'interruzione di sangue, zuccheri e nutrienti al cervello e altri organi vitali. Per ogni minuto che passa, si stima che le probabilità di danni irreversibili e morte aumentino del 10 percento, a causa delle lesioni ipossico-anossiche (HAI). Che il fegato possa giocare un ruolo importante nelle dinamiche che portano ai danni e alla morte più rapidamente dopo un arresto cardiaco è noto da tempo; è stato infatti dimostrato da diversi studi clinici che le persone che soffrono di malattie epatiche colpite da arresto cardiaco hanno una mortalità superiore e un recupero neurologico inferiore, spiegano gli autori del nuovo studio. Anche lo sviluppo di epatite ipossica dopo l'arresto cardiaco determina un aumento superiore del rischio, già elevatissimo considerando che circa il 90 percento delle persone colte da arresto cardiocircolatorio improvviso (fuori da una struttura ospedaliera) perde la vita.

Alla luce di queste premesse, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati cinesi del Guangdong Provincial International Cooperation Base of Science and Technology Guangzhou e del Laboratorio chiave provinciale di medicina degli organi del Guangdong ha effettuato una serie di specifici esperimenti, coinvolgendo una ventina di maialini tibetani allevati in laboratorio. Tra gli altri istituti che hanno partecipato il Laboratorio chiave NHC di circolazione assistita dell'Università Sun Yat-sen, l'Organ Transplant Center dell'Università della Scienza e Tecnologia della Cina – Hefei e altri. I ricercatori coordinati dai professori Xiaoshun He e Zhiyong Guo hanno innanzitutto suddiviso i suini in tre gruppi: il primo è stato sottoposto a ischemia cerebrale per 30 minuti; il secondo a ischemia cerebrale ed epatica per lo stesso intervallo di tempo; e il terzo (gruppo di controllo) a nessun evento ischemico. Successivamente gli scienziati hanno soppresso i maiali e analizzato i loro cervelli.

Dalle analisi è emerso che i maialini non sottoposti a ischemia epatica presentavano molti meno danni cerebrali rispetto a quelli cui era stata indotta. Nell'esperimento successivo il professor He e colleghi hanno creato un modello di perfusione chiamato macchina normotermica cerebrale (NMP) – un sofisticato dispositivo con organi reali e artificiali per pompare il sangue – alla quale sono stati collegati cervelli con o senza fegato dei maialini dopo l'arresto cardiocircolatorio. Il supporto vitale senza il fegato ha riattivato l'attività elettrica del cervello entro mezz'ora, ma è scemata poco tempo dopo. Quando è stato collegato anche un fegato funzionante, il ripristino della funzione cerebrale è avvenuto anche a circa un'ora di distanza dalla morte ed è stata mantenuta per 6 ore, fino allo spegnimento del macchinario.

“L'aggiunta di un fegato funzionante al circuito NMP cerebrale ha ridotto significativamente la lesione cerebrale post-CA (arresto cardiaco NDR), aumentato la vitalità neuronale e migliorato l'attività elettrocorticale. Inoltre, sono state osservate alterazioni significative sia nel trascrittoma che nel metaboloma in presenza o assenza di ischemia epatica. Il nostro studio evidenzia il ruolo cruciale del fegato nella patogenesi della lesione cerebrale post-CA”, hanno spiegato gli scienziati nell'abstract dello studio. I dati di questi controversi esperimenti sugli animali – non i primi di questo genere – potrebbero portare a procedure in grado di ampliare la finestra a disposizione per rianimare le persone colpite da arresto cardiaco. I dettagli della ricerca “Liver protects neuron viability and electrocortical activity in post-cardiac arrest brain injury” sono stati pubblicati su EMBO Molecular Medicine.

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