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C’è un motivo scientifico per cui non riesci più a toglierti dalla testa le canzoni di Sanremo

Si chiamano “earworm” e sono quei brani musicali, con o senza testo, capaci di insinuarsi nella testa delle persone, a prescindere dai loro gusti musicali. Si tratta di un fenomeno scientifico che attiva un meccanismo psicologico ben preciso, ma per riuscirci le canzoni devono avere tratti ben precisi.
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"Cinque cellulari nella tuta gold". Se nella tua testa hai continuato in automatico la frase canticchiando: "Baby non richiamerò", sappi che la bravura di Mahmood sul palco dell'Ariston non è l'unico motivo per cui lo hai fatto. Da "Tuta gold" a "Un ragazzo una ragazza" dei The Kolors, passando per "Sinceramente" di Annalisa, il Festival di Sanremo non è ancora finito e già alcuni brani in gara sono diventati dei tormentoni impossibili da non canticchiare. In realtà c'è un motivo scientifico in grado di spiegarci il perché:  il fenomeno per cui un certo ritornello musicale o anche un semplice jingle pubblicitario ci resta impresso nella mente e non se ne va più via è noto da secoli e risponde a un meccanismo cerebrale, di cui, sebbene ancora non siano del tutto chiare le cause, l'esistenza è ormai scientificamente documentata.

Gli esperti e gli studiosi li chiamano "earworm", noi persone comuni semplicemente "tormentoni". A volte li amiamo, ma spesso finiamo per non sopportarli più. Quante volte, canticchiandoli involontariamente abbiamo detto esausti: "Questa canzone è un chiodo fisso, non se ne andrà mai più dalla mia testa". D'altronde, lo dice il nome stesso: la parola inglese "earworm" è un calco dal tedesco "ohrwurm" e significa letteralmente "tarlo nell'orecchio". A utilizzarla per la prima volta per indicare una canzone molto orecchiabile fu nel 1979 lo psichiatra tedesco Cornelius Eckert. La scelta di questa parola non è causale: "ohrwurm" in tedesco è infatti il nome di quell'insetto, chiamato comunemente "forbicina", che secondo una vecchia leggenda popolare (ovviamente non vera) sarebbe in grado di intrufolarsi nel cervello attraverso l'orecchio.

Che cos'è l'earworm

Più che dall'udito, il fenomeno per cui alcuni frame musicali – il meccanismo si attiva anche in assenza di parole – ci restano incollati addosso dipende da meccanismi che interessano il funzionamento del cervello. Gli studiosi che a partire dalla fine dell'Ottocento hanno iniziato ad occuparsene li hanno chiamati anche "agenti musicali cognitivamente infettivi" o "musical imagery repetition" cioè "ripetizione di immagini musicali".  Insomma, chi ha studiato i tormentoni è d'accordo sul fatto che il fenomeno sia cognitivo. La parte più difficile è però capire le cause di questo fenomeno.

Perché una canzone ci entra nella testa?

Gli esempi sono infiniti tanto che alcuni sono diventati parte dell'immaginario collettivo di intere generazioni, tra sigle di cartoni e spot pubblicitari. Se non bastasse, il fatto che i tormentoni siano fenomeni universali diventa palese a ogni estate, quando tutti cantiamo la canzone del momento. Ci piace? Non per forza, eppure eccola lì, nella nostra testa, inamovibile.

Secondo l'ipotesi più accredita a livello scientifico, una sequenza musicale riuscirebbe a insinuarsi nel nostro cervello quando è capace di attivare la corteccia uditiva primaria sinistra del cervello, la parte direttamente connessa al senso dell’udito. Sulle cause cognitive dell'earworm non abbiamo molti studi, ma alcuni ricercatori hanno classificato il fenomeno come un'intrusione indesiderata, che in alcuni casi può essere assimilato a una forma di disturbo ossessivo compulsivo.

Come una melodia diventa un chiodo fisso

Praticamente nessuno è immune alla capacità degli earworm di entrare nella mente umana. Qualche anno fa uno studente dell'Università di Cambridge, Sean Bennet, ha intervistato 4.000 persone in giro per il mondo e di ogni età (tra 17 e 71 anni) e ha scoperto che il fenomeno colpisce ben il 98,2% delle persone. Ma quali sono le caratteristiche che deve avere un ritornello per entrare nella testa delle persone? La ricetta perfetta non esiste, ma nel 2003 James Kellarsi, docente di marketing all’Università di Cincinnati, individuò alcuni fattori che potrebbero trasformare un brano musicale in un earworm:

  • Ripetitività di certe strutture musicali, come per esempio i ritornelli
  • Semplicità musicale
  • Incongruità tra testo e musica
  • Incongruità tra ritmo e metrica

Da sempre infatti gli esperti di marketing cercano di sfruttare gli earworm per creare campagne pubblicitarie di successo, capaci di restare impresse nella mente delle persone. Il meccanismo è chiaro: sfruttare la musica per insinuarsi nella mente e diffondere il nome del brand o del prodotto da vendere. Chi non ricorda lo spot del cornetto Algida sulle note di "Buon viaggio" di Cremonini? O, per fare un esempio di qualche anno fa, chi non ha mai canticchiato il jingle di Pompea riscritto sulle note di "Ma la notte no!" di Renzo Arbore: "Che stress, che stress, che stress tutto il giorno…ma Pompea No!". Ecco, di certo il motivo – o la colpa – non è la bellezza della composizione musicale, ma la riuscita dell'effetto earworm.

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