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Omicidio Giulia Cecchettin

Caso Giulia Cecchettin, lo psichiatra: “C’è un modo per capire se una relazione è tossica”

Carlo Rosso è un medico psichiatra e insegna Psicologia e Psicopatologie sessuali all’Università di Torino. In questa intervista a Fanpage.it spiega quali sono i tratti che inquadrano una relazione tossica.
Intervista a Dott. Carlo Rosso
Medico psichiatra e professore di Psicologia e Psicopatologie sessuali all’Università di Torino.
A cura di Valerio Berra
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Della morte di Giulia Cecchettin si continuerà a parlare a lungo. Ci sarà un processo, verranno chiarite tutte le dinamiche delle sue ultime ore, verrà analizzato il profilo psicologico di Filippo Turetta, l’ex fidanzato che è stato arrestato in Germania dopo una settimana di fuga. Eppure questo caso è già diventato qualcosa di più. Migliaia di persone stanno condividendo in queste ore commenti e testimonianze che cercano di leggere questa storia da un approccio più largo.

Patriarcato, cultura dello stupro, gelosia. Grazie anche alle parole della sorella, Elena, l’omicidio di Giulia sta diventando un caso che si muove fuori dal format della cronaca nera in tv. Carlo Rosso è un medico psichiatra e insegna Psicologia e Psicopatologie sessuali all’Università di Torino. Con lui abbiamo provato a capire meglio tutte le parole che stanno entrando nelle nostre bolle social in questi giorni.

In questi giorni si è parlato spesso di relazione tossica.

Per il caso di Giulia Checcettin e Filippo Turetta non mi sembra una definizione centrale. Questa formula rimanda a una relazione di dipendenza dell’uno verso l’altro, da cui entrambi in qualche modo traggono vantaggi psicologici. Questa definizione non mi sembra adatta al caso di Giulia, che si era già staccata e lo frequentava saltuariamente per amicizia.

Qual è il ruolo del patriarcato in questo caso?

Anche sull’uso della categoria di patriarcato sarei cauto. Nel patriarcato c’è un uomo che vuole sottomettere la donna. C’è l’idea che la donna sia una proprietà. Chi incarna le ragioni del patriarcato non è interessato a sopprimere la sua vittima, ma a dominarla. Il movimento del geloso è diverso, ed è ciò che si fa difficoltà a capire, non può tollerare di essere escluso dall’orizzonte di desiderio della sua vittima, al punto che se accade preferisce perderla, cioè ucciderla, piuttosto che percepirsi escluso.

Ma una persona con questo profilo che cosa vuole dalla sua vittima?

Il geloso non tollera che il partner sia portatore di un desiderio. Vuole circoscrivere la libertà del partner e quando si confronta con essa non la può accettare. Però non tutti i gelosi uccido, ovviamente.

Ci sono segnali da cogliere per capire che una relazione sta diventando oppressiva?

È una domanda che mi fanno in tanti e spesso sono genitori preoccupati per le loro figlie. La risposta che do sempre è che bisogna capire come si declina il rapporto del partner con la libertà della ragazza. Come si comporta lui quando lei si muove verso il mondo?  Se lo accetta, allora bene. Se invece patisce, rifiuta, controlla o invidia questa apertura, allora è meglio chiudere. In ogni caso questo atteggiamento condanna a una vita difficile.

Come affrontare le richieste per gli “ultimi incontri”?

Meglio non andare. Quando si chiude, si chiude.

Chi legge questa intervista e si accorge di essere dentro una relazione tossica cosa dovrebbe fare?

La cosa migliore è gestire queste cose insieme ad altri. Ci sono professionisti con cui incontrarsi. Se il mio partner non rispetta la mia libertà devo capire cosa mi lega a lui, perché sto insieme a lui, anche se non è in grado di tollerare la mia libertà. Non è facile capire queste cose e spesso bisogna essere aiutati, solo così si può decidere, ma da soli non è facile. Non bisogna avere paura di chiedere aiuto.

E se invece leggendo queste parole ci si accorge di essere un partner geloso?

È difficile che il geloso si renda conto del suo bisogno eccessivo. Si autogiustifica e anzi, colpevolizza la sua vittima perché non si muove più seguendo solo il desiderio verso di lui.

C’è qualcosa che sta cambiando nel modo di vivere le relazioni?

Oggi vivere una relazione è un’impresa. In passato le relazioni erano protette da una serie di istituzioni esterne che rendevano più facile stare insieme che lasciarsi. C’era anche un giudizio diverso, e questo lo vediamo nelle parole che non usiamo più. Zitelle e scapolo in qualche modo avevano un accezione negativa perché erano fuori da una norma che prevedeva lo stare con qualcuno, meglio se sposati.

E ora?

Ora siamo nell’epoca delle relazioni fluide, smaltibili. E questo è un bene per le relazioni tossiche di cui parlavamo: si possono chiudere senza troppi problemi. In generale però le relazioni sono molto più fragili, durano finché c’è un godimento reciproco. Ci abbiamo guadagnato? Per tanti aspetti sì, per altri no. Nel mio lavoro incontro spesso persone di 40 o 50 anni che lasciano una famiglia per sentirsi liberi, ma poi si ritrovano sole e in crisi.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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