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Casi nascosti di influenza aviaria rilevati negli allevatori degli USA: quali sono i rischi

Test sierologici condotti su allevatori di mucche da latte negli USA hanno fatto emergere casi nascosti di positività al virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità A (H5N1) HPAI. Alcuni di essi avevano sviluppato sintomi. Quali sono i rischi.
A cura di Andrea Centini
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Il virus dell'influenza aviaria A(H5N1) ad alta patogenicità (HPAI) sta serpeggiando tra i lavoratori dell'industria lattiero-casearia degli Stati Uniti, causando infezioni “nascoste” che rappresentano un potenziale, significativo rischio epidemiologico. Questi casi sotto traccia sono strettamente collegati alle prime infezioni registrate negli allevamenti di bovini da latte americani a partire da aprile di quest'anno, un evento che sta preoccupando i ricercatori. Come spiegato a Fanpage.it dalla professoressa Ilaria Capua, infatti, i virologi ritenevano che questi animali non fossero esposti al rischio di contagio da parte di questo patogeno. Evidentemente il virus, che sta circolando in modo massiccio in molteplici specie a causa di un'epidemia globale scoppiata alla fine del 2021, deve aver acquisito mutazioni tali da consentirgli il salto di specie e diffondersi anche nei bovini. Il rischio maggiore è che il virus H5N1 possa fare la stessa cosa nell'uomo, anche se al momento non è considerato “bravo” a contagiarci. La scoperta dei nuovi casi, sotto traccia e non, sono tuttavia un campanello d'allarme per gli scienziati; a un certo punto, infatti, il virus potrebbe acquisire la capacità di infettare efficacemente le cellule umane e innescare l'infezione tra uomo e uomo. A quel punto, secondo gli esperti, ci sarebbe un rischio significativo di pandemia.

Oltre ai casi di influenza aviaria sporadici già identificati dai sistemi di sorveglianza, ne sono stati rilevati diversi altri “sotto traccia” in Colorado e Michigan grazie a una serie di test sierologici condotti nel contesto di un programma di monitoraggio dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC). Tra giugno e agosto di quest'anno sono stati prelevati campioni di sangue da 115 lavoratori di industrie lattiero-casearie; i test sierologici, che vanno a caccia degli anticorpi neutralizzanti (immunoglobuline) generati dalla risposta immunitaria innescata dall'esposizione ai patogeni, hanno rilevato otto lavoratori positivi al virus dell'influenza aviaria HPAI ad alta patogenicità A(H5), ovvero il 7 percento del totale. Le analisi sono state effettuate dai ricercatori del Centro nazionale per l'immunizzazione e le malattie respiratorie dei CDC, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani del Michigan, del Dipartimento della Salute Pubblica e dell'Ambiente del Colorado e di altri istituti dei CDC.

Sottoposti ad anamnesi dal team guidato dalla dottoressa Alexandra M. Mellis, quattro dei lavoratori risultati positivi hanno confermato di aver avuto dei sintomi dopo essere stati in contatto con le mucche da latte risultate contagiate dal virus. Tra quelli più comuni vi sono congiuntivite, febbre, tosse, rinorrea (naso che cola) e altre manifestazioni tipiche delle sindromi influenzali e parainfluenzali. Fortunatamente si è trattato di quadri clinici leggeri e temporanei. La scoperta di questi casi nascosti suggerisce due cose: in primo luogo che il virus dell'influenza aviaria circola nell'uomo più di quello che immaginiamo; in secondo luogo che, fino ad oggi, almeno le infezioni legate ai bovini determinano una sintomatologia lieve. Altri casi di contagio del virus H5N1 sono tuttavia risultati letali, ad esempio in Cambogia.

Nel caso in cui il virus dovesse diventare “abile” a infettarci, gli esperti si aspettano una pandemia molto peggiore di quella di COVID-19. La mortalità del virus dell'influenza aviaria H5N1 potrebbe arrivare infatti fino al 50 percento e, dettaglio più inquietante, per diversi esperti questa pandemia non sarebbe una questione di se, ma di quando, come indicato dall'ex direttore dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) statunitensi Robert Redfield. Sebbene il rischio per la popolazione generale sia ancora considerato basso, le infezioni nascoste rilevate sottolineano la “necessità di un monitoraggio attivo dei lavoratori esposti e di test per rilevare e trattare le infezioni da HPAI A(H5), comprese quelle in persone con sintomi molto lievi”, spiegano i CDC. “Questi sforzi dovrebbero essere associati all'educazione dei lavoratori agricoli sui rischi di infezione e sulle misure di prevenzione”, ha concluso l'ente statunitense. Recentemente è stato registrato anche il primo caso umano in Canada, che ha visto il coinvolgimento di un adolescente ricoverato in ospedale.

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