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Bere caffè mantiene in salute il cervello: “Riduce del 40% il rischio di Parkinson”

Bere dalle due alle tre tazzine di caffè al giorno è associato a diversi benefici per la salute e ha dimostrato di poter ridurre anche il rischio di insorgenza del morbo di Parkinson: l’effetto neuroprotettivo sembra dovuto a come la caffeina mantiene il flusso di dopamina a livello cerebrale.
A cura di Valeria Aiello
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Il caffè, grazie alla sua componente principale, la caffeina, ha diversi effetti positivi sulla nostra salute: i benefici del consumo della bevanda, all’interno dei normali schemi di assunzione quotidiana (non si dovrebbero superare le tre-quattro tazzine di caffè al giorno), vanno dalla protezione delle cellule dai danni causati dai radicali liberi al minor rischio di sviluppare malattie del cuore e del sistema cardiovascolare, alla riduzione del rischio di diabete di tipo 2 e alcune forme di cancro, fino a una maggiore longevità.

Diversi studi hanno indicato che bere dalle due alle tre tazzine di caffè al giorno può aiutare tenere sotto controllo il peso corporeo, prestando però attenzione all’aggiunta dello zucchero. Secondo recenti ricerche, il consumo di caffè può proteggere anche dalle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e il Parkinson. E proprio valutando la riduzione dell’insorgenza del Parkinson nei bevitori abituali di caffè che una nuova indagine, appena pubblicata sulla rivista scientifica Neurology, ha misurato quanto è minore il rischio di sviluppare di malattia e dimostrato, per la prima volta che, l’effetto neuroprotettivo è dovuto alla caffeina.

Il morbo Parkinson, come noto, è una malattia neurodegenerativa progressiva, che porta a sintomi motori come tremori, rigidità muscolare, instabilità posturale e lentezza nei movimenti. La causa esatta della malattia non è ancora completamente chiarita ma ciò che è noto è il Parkinson è legato alla perdita di neuroni in un’area specifica del cervello, chiamata substantia nigra. Questi neuroni sono responsabili della produzione della dopamina, un neurotrasmettitore che aiuta a controllare i movimenti e la coordinazione. La caffeina e i suoi metaboliti principali, paraxantina e teofillina, sono però associati a una riduzione del rischio di insorgenza della malattia, molto probabilmente perché aiutano a mantenere il flusso di dopamina nel cervello.

Bere caffè protegge il cervello, riducendo il rischio di Parkinson

Bere dalle due alle tre tazzine di caffè al giorno è associato, come detto, a un’ampia gamma di benefici, anche per la salute del cervello, riducendo il rischio di insorgenza del Parkinson: secondo i più recenti risultati, i consumatori di caffè hanno una probabilità di quasi il 40% più bassa di sviluppare il morbo di Parkinson rispetto a coloro che non bevono caffè. Questa associazione inversa tra consumo di caffè e malattia di Parkinson è emersa dall’analisi dei dati raccolti nello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), uno studio longitudinale che ha coinvolto oltre mezzo milione di persone di età compresa tra i 35 e i 70 anni residenti in 10 Paesi europei (Italia inclusa) tra il 1992 e il 2000.

Per l’indagine, gli studiosi hanno preso in esame di dati di un sotto-gruppo di persone (EPIC4PD) che avevano completato un questionario dietetico, che includeva domande sul consumo di caffè, nonché sul fumo, sul consumo di alcol, sul livello di istruzione e sull’attività fisica – in totale 184.024 persone residenti in Svezia, Regno Unito, Paesi Bassi, Germania, Spagna e Italia, che sono state seguite per una media di 13 anni. Parte dei partecipanti allo studio ha inoltre fornito campioni di sangue che sono stati utilizzati per valutare i livelli di caffeina e di metaboliti della caffeina nel plasma sanguigno. I dati sull’insorgenza del Parkinson provenivano invece dalle cartelle cliniche dei partecipanti e sono stati convalidati da esperti in disturbi del movimento.

I ricercatori hanno quindi suddiviso i consumatori di caffè in gruppi di uguale numerosità (quartili) per ciascun Paese, a seconda della quantità di caffè consumato al giorno (ml/die), e valutato l’impatto del consumo della bevanda sul rischio di Parkinson, tenendo conto sia di variabili come l’età, il sesso, l’abitudine al fumo, sia dei principali fattori confondenti, tra cui l’indice di massa corporea, il consumo di alcol e il livello di attività fisica. Gli studiosi hanno anche indagato su quali metaboliti della caffeina fossero correlati alla riduzione del rischio.

Nel complesso, dall’analisi è emerso che i consumatori di caffè (quartile da 100 ml/die a un massimo 145 ml/die, pari a 2-3 tazzine di caffè al giorno in Italia*) hanno un rischio del 37% più basso di sviluppare il morbo di Parkinson rispetto a chi non beve caffè. *In Spagna, il quartile specifico era compreso tra 100 e 184 ml/die di caffè, in Germania tra 400 e 601 ml/die, nel Regno Unito tra 475 e 557 ml/die e in Svezia tra 400 e 601 ml/die, per le diverse abitudini nella preparazione della bevanda e, di conseguenza, la diversa quantità di composti attivi.

In presenza di consumi inferiori alle 2-3 tazzine di caffè al giorno, i ricercatori hanno rilevato una minore riduzione del rischio, pari al 34% nei bevitori di quantità comprese tra 62 e 100 ml/die (1-2 tazzine di caffè al giorno in Italia) e del 29% in chi beve poco più di una tazzina al giorno (massimo 62 ml/die in Italia). “Queste osservazioni sono state rafforzate dalla valutazione della caffeina plasmatica, che ha mostrato una forte associazione tra la riduzione del rischio di Parkison e i livelli di caffeina e dei suoi principali metaboliti, la paraxantina e la teofillina” hanno precisato gli autori dello studio.

Nel complesso, lo studio ha dunque dimostrato che la neuroprotezione del caffè sul morbo di Parkinson è da attribuire alla caffeina e ai suoi metaboliti, paraxantina e teofillina, supportando l'ipotesi di una somministrazione di caffeina nei soggetti ad alto rischio di sviluppare la malattia. “Potrebbe essere un approccio promettente per arrestare o ritardare il deterioramento della malattia – hanno aggiunto gli studiosi – . Parallelamente, resta tuttavia da determinare se sia opportuno sostenere un intervento pubblico volto a promuovere un maggiore consumo di caffè o integratori di caffeina a causa dei potenziali effetti collaterali”.

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