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Batteri modificati bloccano la Sclerosi Multipla in test di laboratorio: speranze per una terapia

Un team di ricerca internazionale ha messo a punto un probiotico sperimentale (basato su batteri ingegnerizzati) in grado di sopprimere la risposta immunitaria che scatena la Sclerosi Multipla. I microorganismi sono stati efficaci sui topi, ma gli scienziati sono fiduciosi che possano dare lo stesso risultato nell’essere umano.
A cura di Andrea Centini
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Ricercatori americani hanno dimostrato che un probiotico sperimentale è in grado di sopprimere il processo autoimmunitario che scatena una forma murina della sclerosi multipla (SM). In parole semplici, sono riusciti a contrastare efficacemente la patologia neurodegenerativa in test di laboratorio condotti sui topi, gettando le basi per una possibile terapia innovativa basata su batteri ingegnerizzati. I probiotici, infatti, sono microorganismi – come batteri o lieviti – appartenenti al microbiota intestinale, che se somministrati adeguatamente possono fornire diversi benefici alla salute. In questo caso il probiotico sperimentale è stato ingegnerizzato / progettato per produrre una molecola in grado in frenare la risposta autoimmune che provoca la demielinizzazione, il processo alla base della Sclerosi Multipla, bloccando di fatto l'infiammazione e riducendo i sintomi. Sebbene i roditori non siano esseri umani, i ricercatori sono fiduciosi di aver gettato le basi per una terapia efficace non solo contro la Sclerosi Multipla, ma anche per altre malattie autoimmuni.

A mettere a punto il probiotico sperimentale in grado di bloccare la Sclerosi Multipla murina e a dimostrarne l'efficacia è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati americani dell'Harvard Medical School presso il Brigham and Women’s Hospital, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'azienda Synlogic Therapeutics di Cambridge, del Broad Institute of MIT and Harvard e del Centro di Biologia Molecolare "Severo Ochoa" UAM-CSIC dell'Università Autonoma di Madrid (Spagna). I ricercatori, coordinati dal professor Francisco J. Quintana, docente di Neurologia presso la Scuola di Medicina dell'Università di Harvard e membro dell'Ann Romney Center for Neurologic Diseases dell'ospedale di Boston, sono arrivati al probiotico dopo aver identificato un peculiare percorso biochimico nel sistema nervoso dei topi. In pratica, hanno scoperto come fanno le cellule dendritiche a “tenere a bada” le altre cellule del sistema immunitario, impedendo loro di attaccare l'organismo e quindi di scatenare malattie autoimmuni, alla stregua della Sclerosi Multipla. Le cellule dendritiche sono cellule immunitarie specializzate nella presentazione dell'antigene, ma giocano un ruolo anche nel gestire la risposta immunitaria. Il loro coinvolgimento nelle malattie autoimmuni non è ancora del tutto compreso ed è proprio studiandole a fondo che è emerso il percorso biochimico di cui sopra.

“Il meccanismo che abbiamo trovato è come un freno per il sistema immunitario. Nella maggior parte di noi è attivato, ma nelle persone con malattie autoimmuni ci sono problemi con questo sistema frenante, il che significa che il corpo non ha modo di proteggersi dal proprio sistema immunitario”, ha dichiarato il professor Quintana in un comunicato stampa. Dopo averlo rilevato, i ricercatori si sono messi alla ricerca di una molecola in grado di replicare questo “sistema frenante”, trovandola nel lattato, il sale dell'acido lattico che si forma durante i processi metabolici che coinvolgono i carboidrati.

In parole molto semplici, gli scienziati hanno ingegnerizzato dei batteri “buoni” affinché producessero lattato e li hanno hanno impiantati nell'intestino dei topi affetti dal modello murino della Sclerosi Multipla, osservandone gli effetti benefici. I microorganismi sono stati infatti in grado di sopprimere il processo autoimmunitario nel cervello, provocato dalle cellule T che distruggono la mielina, la guaina protettiva che avvolge i neuroni. Il probiotico messo a punto “sopprime l'autoimmunità delle cellule T attraverso l'attivazione della segnalazione HIF-1α-NDUFA4L2 nelle DC (cellule dendritiche NDR)”, hanno scritto i ricercatori nell'abstract dello studio. In pratica, grazie ad esso, sono riusciti a ridurre l'infiammazione e i sintomi della patologia nei topi.

Si tratta di una scoperta molto significativa perché le malattie autoimmuni che colpiscono il tessuto cerebrale sono decisamente difficili da trattare, principalmente a causa della barriera emato-encefalica che blocca il passaggio dei farmaci. In questo caso l'azione protettiva innescata dal lattato deriva dalla segnalazione biochimica tra le cellule dell'intestino e quelle del cervello, intimamente connesse (le cellule dendritiche sono abbondanti nel tratto digerente e nel sistema nervoso centrale). Sebbene il probiotico sperimentale sia stato efficace nei topi, i ricercatori ritengono non solo che possa dare buoni risultati contro la SM nell'essere umano (naturalmente da dimostrare attraverso trial clinici ad hoc, dopo aver superato tutta la trafila preclinica), ma che potrebbe portare a versioni alternative dello stesso in grado di curare altre malattie autoimmuni.

“La capacità di utilizzare le cellule viventi come fonte di medicina nel corpo ha un enorme potenziale per realizzare terapie più personalizzate e precise. Se questi microbi che vivono nell'intestino sono abbastanza potenti da influenzare l'infiammazione nel cervello, siamo fiduciosi che saremo in grado di sfruttare il loro potere anche altrove”, ha chiosato il professor Quintana. I dettagli della ricerca “Lactate limits CNS autoimmunity by stabilizing HIF-1α in dendritic cells” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature.

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