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Terremoto in Turchia e Siria

Balzanelli a Fanpage.it: “Speranze per i dispersi in Turchia, in Nepal estratti vivi dopo 8 giorni”

Il Presidente del Sis 118: “Le ore trascorse dal sisma non sono un criterio assoluto per dire ‘ormai non tireremo fuori più nessuno’. Disidratazione e freddo i peggiori nemici”.
Intervista a Mario Balzanelli
Presidente della Società italiana Sistema 118 (Sis 118) e Direttore Struttura Complessa di Medicina e Chirurgia di Accettazione e Urgenza presso la Centrale Operativa Provinciale del Sistema 118 di Taranto.
A cura di Valeria Aiello
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In Turchia si continua a scavare alla ricerca di dispersi sotto le macerie del violento terremoto che lunedì 6 febbraio ha colpito i territori sud-orientali del Paese e la vicina Siria, con la speranza di estrarre persone ancora in vita. La possibilità di arrivare a nuovi salvataggi sotto ciò che resta delle migliaia di edifici crollati è una corsa contro il tempo, complicata dalla portata di “una tragedia immane, una vera e propria emergenza umanitaria di proporzioni devastanti –  dice a Fanpage.it il professor Mario Balzanelli, presidente della Società italiana Sistema 118 (Sis 118) – . La drammaticità della situazione richiede una concertazione internazionale massiva, finalizzata a garantire supporti mirati e coordinati alle popolazioni colpite. E da parte nostra, siamo disponibili a fornire tutto il massimo contributo”.

Ma quanto si può resistere sotto le macerie di un terremoto? La letteratura documenta casi in cui si sono superate anche le 80 ore. Come in Nepal, dove in seguito al devastante terremoto dell’aprile 2015, una persona, un centenario per la precisione, venne estratto vivo dopo addirittura 8 giorni. Quanto sta accadendo in Turchia, dove proprio in queste ore moltissimi bambini e persone si stanno dimostrando recuperabili, conferma il potenziale salvataggio di altri superstiti.

Cosa fa la differenza in queste situazioni?

Certamente lo spazio d’aria, che per intenderci è la possibilità di respirare. Non si devono avere le vie aree ostruite da detriti o calcinacci, così come è importante l’assenza di lesioni traumatiche maggiori che, se non immediatamente per schiacciamento o compromissione degli organi vitali, possono comunque produrre effetti devastanti.

Esiste una “finestra di salvataggio”?

Come le dicevo, in letteratura ci sono casi in cui si sono superate anche le 80 ore, ma tutto è correlato alle condizioni specifiche, agli spazi d’aria e all’assenza di lesioni che compromettono l’omeostasi e la vitalità dei sistemi dell’organismo. Non si può però dare un parametro predittivo scorporato dal contesto. Ciò significa che le ore non sono un criterio assoluto per dire “ormai non tireremo fuori più nessuno”. Sono invece il micro e macro-ambiente che si vengono a creare e le interazioni con l’organismo che fanno la differenza.

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Qual è quindi il peggior nemico per chi è ancora intrappolato sotto le macerie?

In primo luogo è la mancanza di idratazione. Le persone che vengono individuate vanno raggiunte attraverso sonde, telecamere e, nel frattempo, da un contatto umano, che è fondamentale. Non si devono sentire sole. È quindi determinante immettere aria e ossigeno, calare liquidi e alimenti ad immediato utilizzo energetico, come zuccheri e carboidrati, che possono aumentare considerevolmente il tempo di sopravvivenza di queste persone.

Un altro fattore da considerare è il freddo, che viste le temperature particolarmente rigide che si stanno registrando nelle città più colpite, può pregiudicare in modo rilevante anche la sopravvivenza delle centinaia di migliaia di sfollati, soprattutto dei più anziani, di coloro che soffrono di patologie e dei traumatizzati. Condizioni di ipotermia ambientale, quindi di vita all’aperto, o comunque in campi, oltre alla scarsezza di mezzi e la mancanza di assistenza appropriata sono tutti fattori che rischiano di farci entrare nella finestra di rischio delle morti evitabili. E dove non dobbiamo andarci a infilare.

Cosa può fare la differenza?

Gli aiuti che vengono dall’esterno, perché è chiaro che il sistema sanitario di un Paese messo in ginocchio da un evento cataclismico come quello che si è verificato può tenere relativamente. In questo caso, la differenza può farla ciò che arriva fuori, in modo che ampie fasce della popolazione colpita ricevano assistenza e quanto necessario a garantire l’ordinario per la vita.

Nell’emergenza non c’è tempo, si muore in pochi istanti. E in tal senso, la comunità internazionale sta producendo sforzi enormi, attivandosi con uomini e aiuti. L’Italia ha predisposto l’invio di colonne mobili, dunque di nuclei integrati con i vigili del fuoco, che sono già sul posto e stanno egregiamente fornendo il loro contribuito.

Al di là del caso contingente, quanto l’Italia è pronta a fronteggiare eventi simili?

Davanti a situazioni del genere è necessario intervenire in poche ore, il che evidenzia la necessità di disporre di sistemi di soccorso che si concentrino in tempi limitati e abbastanza veloci rispetto all’insorgenza dell’evento. Ciò deve in qualche maniera sollecitare anche una riflessione più ampia nel riconsiderare l’architettura dei sistemi sanitari. Una lezione che la pandemia di Covid dovrebbe averci insegnato, ossia che i servizi di emergenza non possono essere residuali, relegati ad essere la Cenerentola del servizio sanitario, come purtroppo accade nel nostro Paese, dove i governi li hanno catastroficamente abbandonati da almeno 25 anni. Devono invece essere potenziati e messi nelle condizioni operative di poter rispondere non soltanto all’emergenza di carattere ordinario, ma anche quella straordinaria. E quindi dare supporto agli altri Paesi.

I servizi di emergenza devono diventare uno scudo a difesa della cittadinanza e delle popolazioni, e meritano maggiori attenzioni e soprattutto maggiori finanziamenti, che in Italia sono pressoché nulli, risibili e assolutamente inaccettabili sul piano tecnico. Non dobbiamo aspettare che si verifichi l’ennesima tragedia per svegliarci e capire che le risposte devono essere previste per tempo. L’Italia in questo senso è chiamata a un’evoluzione nel post-Covid di consapevolezza e maturazione, che speriamo porti anche a scelte legislative di rinforzo, intanto territoriali, perché, come vediamo, strumentazioni e personale, non bastano neanche per noi stessi, e quindi in ambito internazionale, affinché la risposta sia di altissimo livello, ordinata, coordinata e integrata, e sottolineo, massiva.

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