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Avere un figlio dopo un tumore con il trapianto di tessuto ovarico, l’esperto: “Può evitare la menopausa”

Il prelievo e reimpianto del tessuto ovarico è una tecnica di preservazione della fertilità e dell’attività ovarica per le donne che devono sottoporsi a trattamenti oncologici. Il professore Renato Seracchioli, a capo del programma di Oncofertilità e Preservazione della fertilità dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, spiega in cosa consiste e quali sono le pazienti che possono richiederla.
Intervista a Prof. Renato Seracchioli
Professore di Ginecologia e Ostetricia dell'Università di Bologna e responsabile del programma di Oncofertilità e Preservazione della fertilità dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna
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Davanti a una diagnosi di tumore, è normale che la priorità di tutti, medici e malati, sia concentrarsi sulla cura della malattia fino alla completa guarigione. Tuttavia, altrettanto fondamentale è preservare il futuro, la vita dopo la malattia. A volte, infatti ci sono piani o progetti che un tumore obbliga a mettere in pausa, ma restano lì, pronti a essere ripresi una volta guariti.

Tra i tanti piani che un tumore può mettere in cantina per un po', soprattutto se a essere colpiti è un paziente giovane, è il desiderio di avere un figlio, un progetto che tuttavia alcuni tipi di tumore e alcuni trattamenti oncologici potrebbero rendere meno realizzabile. Questa eventualità interessa più le donne che gli uomini: non perché questi non siano soggetti ai possibili effetti delle terapie, ma perché la finestra di fertilità femminile dura meno di quella maschile e si riduce gradualmente già a partire dai 35 anni.

Le tecniche di preservazione della fertilità

Se una donna in età fertile deve affrontare trattamenti oncologici piuttosto lunghi, sia per la durata delle terapie – che a volte possono richiedere anni – sia per i possibili effetti di alcuni farmaci chemioterapici, può vedersi ridotta la possibilità di avere un figlio una volta guarita. È importante specificare che non tutte le donne subiscono questo effetto, non c'è un rapporto di causa-effetto diretto tra trattamenti oncologici e il rischio di difficoltà di concepimento. La probabilità che questo accade dipende infatti da molti fattori, come il tipo di tumore, l'età della paziente, i trattamenti anti-tumorali utilizzati e la presenza di altre patologie in grado di danneggiare la fertilità.

Ecco perché è importante informare qualsiasi donna in età fertile che stia per iniziare un trattamento anti-tumorale (ma anche i genitori di una bambina) dell'esistenza di alcune tecniche di preservazione della fertilità che potrebbero aiutarle ad avere una gravidanza qualora la loro attività ovarica naturale venga compromessa dalle terapie. Ne esistono diverse, come la crioconservazione degli ovociti e il trapianto del tessuto ovarico. Tuttavia, mentre della prima si ne inizia a parlare di più, anche grazie alla diffusione del tema sui social, sono in pochi oggi a conoscere la seconda e i centri che la offrono.

Renato Seracchioli è professore di Ginecologia e Ostetricia dell'Università di Bologna, direttore del reparto di Ginecologia e Fisiopatologia della Riproduzione Umana e responsabile del programma di Oncofertilità e Preservazione della fertilità dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, uno dei principali centri in Italia a effettuare il trapianto di tessuto ovarico per preservare la fertilità nelle pazienti oncologiche. A Fanpage.it ha spiegato in cosa consiste, quali sono le differenze rispetto al congelamento degli ovuli e quali sono le pazienti a cui si rivolge.

A cosa serve il prelievo del tessuto ovarico? 

l prelievo del tessuto ovarico ha come indicazione la paziente giovane, di solito con meno di 35-38 anni, che soffre di una patologia oncologica. Questa tecnica è stata sviluppata per offrire una soluzione a un possibile effetto collaterale a cui le donne in questa condizione possono andare incontro: i trattamenti oncologici infatti, come la chemioterapia e in qualche caso la radioterapia, possono alterare notevolmente la funzionalità ovarica delle pazienti, quindi la possibilità di avere una gravidanza spontaneamente, una volta guarite.

Come funziona? 

Prima che la paziente inizi la chemioterapia o la radioterapia viene sottoposta a un piccolo intervento che consiste nell'asportazione in laparoscopia di una porzione di tessuto ovarico da uno dei due ovai, di solito circa la metà del tessuto totale, dove sono presenti gli ovociti. Questo campione viene poi processato in laboratorio e congelato.

Intanto la paziente si sottopone ai trattamenti necessari per curare il tumore e una volta guarita, se effettivamente le sue ovaie mostrano una ridotta funzionalità, le viene reimpiantato il campione prima asportato e preservato. Una volta effettuata l’operazione, l'ovaio riprende a lavorare normalmente, quindi a produrre ormoni e follicoli.

Come si traduce questa ripresa della funzione ovarica nella paziente?

La paziente che per effetto dei trattamenti oncologici si trova in uno stato di menopausa precoce o simile alla menopausa, proprio per effetto della ridotta attività ovarica, ricomincia ad avere un'attività ormonale normale e quindi può evitare anni di menopausa precoce, oltre a poter avere una gravidanza nel caso in cui lo desideri, o spontaneamente o mediante una tecnica di fecondazione assistita, a seconda delle esigenze della singola paziente.

Quali sono i vantaggi rispetto ad altre tecniche di preservazione della fertilità. Penso ad esempio al congelamento degli ovuli?

Il vantaggio principale sta nel fatto che il trapianto di tessuto ovarico permette una ripresa dell'attività ovarica e ormonale della paziente, dopo la quale si può avere una gravidanza. Invece, con il congelamento degli ovociti, la gravidanza si può ottenere trapiantando gli ovociti fecondati, ma l'ovaio non può avere una ripresa dell'attività ormonale.

La preservazione del tessuto ovarico può essere utilizzata anche nelle bambine. Ci spieghi meglio.

È molto importante spiegare questo punto: in età pediatrica infatti la preservazione del tessuto ovarico è l'unica tecnica possibile nel caso in cui a causa di trattamenti oncologici una bambina corra il rischio di vedersi compromessa la sua futura fertilità e attività ormonale. Prima infatti che si sia verificato il menarca (il primo ciclo mestruale), non è possibile stimolare l'attività ovarica di una bambina per raccogliere gli ovociti, come si fa appunto nella crioconservazione degli ovuli.

Può richiedere questo intervento anche una donna che non sa ancora se vuole avere una gravidanza?

Le pazienti a cui è stato prelevato il tessuto possono richiedere il trapianto, anche se non ricercano la gravidanza. Noi abbiamo trasferito in quasi dieci pazienti il tessuto ovarico solo ai fini di evitare una menopausa precoce e tutti gli effetti che questa può causare. L'attività ovarica svolge infatti un ruolo protettivo per la salute delle donne: pensate che sul fronte degli arresti cardiaci la donna è protetta rispetto all'uomo, ovvero ha una minore incidenza, soltanto finché non entra in menopausa.

La cosa interessante da notare è che l'intervento con cui abbiamo impiantato il tessuto ovarico in queste pazienti è praticamente di tipo ambulatoriale: il tessuto è stato inserito non nella stessa regione da cui è stato prelevato, ovvero l'ovaio, ma direttamente a livello sottocutaneo, con una piccola incisione di neanche un centimetro. Già dopo due o tre mesi dall’intervento, la paziente torna ad avere il ciclo, tuttavia in questi casi non è possibile avere future gravidanze.

Quindi esistono due opzioni possibili?

Esattamente. Il caso appena descritto, finalizzato esclusivamente alla ripresa dell'attività endocranica per evitare la menopausa in età giovanile, è un trapianto eterotopico, ovvero il tessuto ovarico viene impiantato a livello sottocutaneo. Ma questa opzione esclude la possibilità di gravidanza.

Se invece si vuole conservare la fertilità, si ricorre a un intervento di tipo ortotopico, ovvero il tessuto viene inserito nelle pelvi, dove ci sono le ovaie.

Una volta fatto il prelievo del tessuto ovarico la paziente è vincolata al successivo intervento di impianto? 

No, non tutte le pazienti a cui viene prelevato il tessuto poi completano l'iter. A volte perché le cure oncologiche non compromettono del tutto la loro attività ovarica, altre volte perché è la paziente stessa per sue ragioni personali a non voler proseguire.

Le pazienti hanno modo di sapere che esiste questa possibilità di cui potrebbero avvalersi?

Devo dire che si comincia ad avere una maggiore conoscenza di questo problema, soprattutto all'interno di diversi centri oncologici. Parlo di quei centri dove le donne vengono trattate con trattamenti oncologici, come chemioterapia, radioterapia o terapia immunologica. Qui si inizia a diffondere la consapevolezza di informare le giovani donne che esiste questa possibilità. Certo, c'è ancora molto lavoro da fare: diciamo che in Italia siamo in una situazione a macchia di leopardo, non uniforme, anche perché in molte regioni non è ancora possibile ricorrere alla preservazione del tessuto ovarico. Ancora non c'è una conoscenza omogenea nel territorio italiano, ma stiamo compiendo dei passi avanti.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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