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Apollo 13, la storia della missione fallita sulla Luna e che fine hanno fatto gli astronauti

La missione Apollo 13 è partita l’11 aprile del 1970: doveva arrivare sulla Luna e qui raccogliere dei campioni dal suolo. Nel progetto iniziale si trattava di una missione scientifica: è diventata una missione di salvataggio. Circa 55 ore dopo la partenza un problema tecnico ha completamente rivoluzionato i piani dei tre astronauti a bordo.
A cura di Valerio Berra
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“Ok Huston, abbiamo un problema”. La frase attribuita a John Leonard “Jack” Swigert Jr. è forse la più celebre nel mondo dell’esplorazione spaziale. Anche più del "piccolo passo" di Neil Armostrong. È stata pronunciata il 14 aprile del 1970 durante la missione Apollo 13, poi è tornata nel film diretto da Ron Howard nel 1995 e poi ancora è stata ripresa decine di volte da qualsiasi parte. È la frase che ha segnato la missione Apollo 13, l’impresa in cui l’essere umano senza volerlo si è spinto nel punto più lontano dalla Terra mai raggiunto in tutta la sua storia.

La missione Apollo 13 è partita l’11 aprile del 1970: direzione Luna. Doveva essere il terzo allunaggio nella storia dell’umanità. Era una missione scientifica, dedicata soprattutto alle analisi geologiche. Il motto della missione era infatti Ex Luna, Scientia. Dopo la frase di Swigert però è cambiato tutto. Le parole esatte sono state “Ok, Houston qui abbiamo avuto un problema”. E quel problema ha trasformato una missione scientifia in una missione di salvataggio.

La missione Apollo 13

Partenza da John F. Kennedy Space Center, in Florida. Destinazione: Luna. L’11 aprile del 1970 la missione Apollo 13 parte per quella che sembrava una rotta consolidata. Un viaggio già affrontato dalla missione Apollo 11 nel 1969, con il primo uomo a camminare sulla Luna. E poi ancora con Apollo 12 pochi mesi dopo il primo sbarco. La procedura per l’arrivo sul nostro satellite era simile alle missioni precedenti. La missione sarebbe stata organizzata con un razzo Saturn V con una navicella Apollo. L’Apollo era divisa in tre parti: il modulo di comando, il modulo di servizio Odyssey e il modulo lunare Acquarius. Una volta sbarcati sulla Luna ed eseguiti tutti gli esperimenti previsti, gli astronauti sarebbero dovuti tornare indietro sulla Terra.

WIKIMEDIA | Una foto alla Luna scattata dall'Apollo 13
WIKIMEDIA | Una foto alla Luna scattata dall'Apollo 13

I membri dell'equipaggio e l'imprevisto prima della partenza

L’equipaggio dell’Apollo 13 era composto da tre membri. Il Comandante era James A. Lovell, detto Jim. Il Pilota del modulo di servizio Odyssey (tecnicamente command and service module) era Jack L. Swigert mentre il pilota del modulo lunare era Fred W. Haise. All’inizio della missione però il gruppo non doveva essere questo. Il ruolo di pilota del modulo di servizio Odyssey doveva essere infatti Ken Mattingly. Prima della partenza però c’è stato un imprevisto: Charles Duke, pilota del modulo lunare nell’equipaggio di riserva era stato esposto alla rosolia e Ken Mattingly risultò l’unico a non essere immune. Il 6 aprile, appena 5 giorni prima del lancio, la Nasa decise di sostituirlo con Jack L. Swigert.

Cosa è successo dopo il decollo

L’incidente che rese famosa la missione Apollo 13 avvenne precisamente 55 ore, 54 minuti e 53 secondi dopo il decollo. E qui che l’equipaggio avverte un forte rumore e poi un calo a tutto il sistema elettrico. A questo punto John L. Swigert avverte il centro di controllo con la frase diventata poi storica: “Ok Huston, abbiamo un problema”. L’esplosione era stata causata da una componente progettata male. Una serpentina nello specifico. Un errore di progettazione che portò una serie di reazioni a catena, passate dalla perdita di ossigeno dei serbatoi e il blocco di alcune celle a combustibile. Una situazione molto complessa da affrontare, tanto che l’obiettivo della missione venne subito cambiato: l’obiettivo non era più arrivare sulla Luna ma riportare vivi gli astronauti a casa.

Come e dove è atterrato l'Apollo 13

Dopo l’incidente sono iniziate subito le manovre per il recupero. A quella distanza dalla Terra non si poteva fare molto, se non sfruttare al meglio tutti i materiali e le risorse rimaste. Si decise quindi di programmare una rotta attorno alla Luna per poi rientrare direttamente sulla Terra. Gli astronauti si spostare nel modulo lunare, modificando i filtri dell’anidride carbonica per renderli più adatti ai nuovi obiettivi della missione.

Il viaggio venne programmato sfruttando ogni minimo margine di vantaggio. La vita nel modulo lunare non è stata semplice. Era pensato per ospitare due persone per due giorni, non tre persone per quattro giorni. Durante il viaggio, gli astronauti dell’Apollo 13 arrivarono al punto più distante dalla Terra mai raggiunto da un essere umano: 400.171 km. Il 17 aprile dopo aver tenuto milioni di persone con il fiato sospeso l’Apollo 13 riuscì ad ammarare nell’Oceano Pacifico. Tutti gli astronauti riuscirono a sopravvivere alla missione.

WIKIMEDIA | Una foto del modulo di servizio della Missione Apollo 13
WIKIMEDIA | Una foto del modulo di servizio della Missione Apollo 13

Che fine hanno fatto gli astronauti di Apollo 13

Jack L. Swigert, l’uomo di “Houston abbiamo un problema” è morto nel 1982. Dopo l’Apollo 13 non partecipò ad altre missioni. Nel 1982, nove anni dopo il ritiro come astronauta riuscì a farsi eleggere col Congresso degli Stati Uniti con i voti ottenuti in Colorado: morì prima di prendere servizio. Jim Lovell è ancora vivo. Ha 96 anni e anche lui si ritirò dopo la missione Apollo 13. Prima però aveva partecipato ad altre tre missioni: Gemini 7, Gemini 12 e Apollo 8. Anche Fred Haise è ancora vivo. Ha 90 anni e come per Jack L. Swigert ha volato solo a bordo dell’Apollo 13. Anni dopo l’ammaraggio dell’Apollo 13 partecipò a diverse missioni di test per il programma Space Shuttle.

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