Un’antica vespa parassita catturava le sue prede con una “coda” acchiappamosche: scoperta unica nel suo genere

Un’antica vespa parassita, recentemente scoperta in un’ambra birmana del Cretaceo medio, utilizzava un sofisticato apparato di presa, simile a quello della pianta carnivora dionea (venere acchiappamosche), per catturare gli insetti in cui deporre le sue uova. I paleontologi che, per primi, hanno descritto la nuova specie, l’hanno chiamata Sirenobethylus charybdis, dal nome del mostro marino della mitologia greca, Cariddi, che tre volte al giorno risucchiava e rigettava l’acqua del mare.
Per quanto riguarda invece il genere, la scelta è ricaduta su una combinazione del termine sirena con quello della famiglia di vespe aculeate Bethylidae, perché l’apparato di presa della vespa si trova sulla punta dell’addome, sporgendo come la coda di una sirena. “L’apparato è diverso da quello di qualsiasi altro insetto mai visto prima” ha spiegato il dottor Lars Vilhelmsen del Natural History Museum of Denmark di Copenaghen che, insieme a Taiping Gao e suoi colleghi della Capital Normal University di Pechino, suggerisce che l’insetto appartenga a un’estina famiglia di vespe finora sconosciuta.
La vespa parassita che catturava le sue prede con una "coda" acchiappamosche
La recente scoperta di Sirenobethylus charybdis, un’antica vespa parassita vissuta nel Cretaceo medio, ha rivelato l’inquietante strategia usata per immobilizzare gli insetti in cui deporre le uova: l’apparato di presa addominale, simile alla trappola della pianta carnivora dionea (venere acchiappamosche), veniva azionato appena una potenziale preda innescava il meccanismo di cattura.

Secondo i paleontologi, l’apparato addominale avrebbe permesso a S. charybdis catturare “prede altamente mobili come piccoli insetti alati o saltatori”, probabilmente perché la vespa non era in grado di inseguire la preda su lunghe distanze. “È possibile che attendesse con l’apparato aperto fino a quando un potenziale ospite in cui deporre le uova non attivava la sua risposta di cattura” hanno aggiunto gli esperti che, in totale, hanno analizzato 16 fossili di femmine di S. charybdis, conservati in un’ambra recuperata nella regione Kachin, nel Myanmar settentrionale, risalente a 99 milioni di anni fa.
I risultati delle analisi, pubblicati in un nuovo studio sulla rivista BMC Biology, hanno evidenziato che S. charybdis era probabilmente un cenobionte (koinobionte), un parassitoide che consentiva alla sua preda di continuare a vivere fino a quando le larve, nutrendosi all’interno del suo corpo, non avessero terminato il loro sviluppo. Secondo gli studiosi, l’apparato addominale di S. charybdis potrebbe essere servito come strumento per trattenere temporaneamente la preda durante la deposizione delle uova, senza comprometterne direttamente la vitalità, dato che il destino della sua prole dipendeva dalla sopravvivenza dell’ospite.