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Alzheimer, un composto in melograni e noci migliora la memoria e altri sintomi in test di laboratorio

I ricercatori hanno scoperto che l’urolitina A, una sostanza naturale presente in melograni, frutta secca e altri alimenti vegetali, è in grado di “migliorare significativamente” i sintomi dell’Alzheimer in modelli murini. Come agisce e perché l’integrazione di questo composto potrebbe essere un prezioso aiuto contro il declino cognitivo causato dalla neurodegenerazione.
A cura di Andrea Centini
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Una sostanza naturale contenuta in frutti di bosco, fragole, frutta secca come le noci e soprattutto melograni può essere un prezioso aiuto contro il morbo di Alzheimer, la principale forma di demenza al mondo. Si tratta dell'urolitina A, un metabolita legato alla flora intestinale e derivato dalla scomposizione dell'acido ellagico, un antiossidante fenolico prodotto da diversi organismi vegetali. Questo composto, somministrato a modelli murini (topi) con una forma di Alzheimer, ha “migliorato significativamente” diversi sintomi della patologia neurodegenerativa, tra i quali apprendimento, funzione olfattiva e memoria. Inoltre ha ridotto l'accumulo di placche di beta amiloide e i grovigli di tau, proteine “appiccicose” che si accumulano nel cervello intimamente connesse con la demenza. Chiaramente non si sta ancora parlando di mangiare melograni e noci per proteggersi dall'Alzheimer – non è detto che i risultati sui roditori funzionino sull'uomo -, ma gli studiosi sono fiduciosi sul fatto che integratori a base di urolitina A possano realmente essere un aiuto contro la diffusa e devastante malattia. Solo il prosieguo della sperimentazione potrà confermarlo.

A determinare che il composto naturale presente in melograni, frutta secca e altri alimenti vegetali contrasta efficacemente i sintomi dell'Alzheimer in test di laboratorio è stato un team di ricerca internazionale composto da scienziati del National Institute on Aging di Baltimora (Stati Uniti) e del Centro danese per l'invecchiamento in buona salute ICMM dell'Università di Copenaghen (Danimarca). I ricercatori, coordinati dal professor Vilhelm Bohr, docente presso il Dipartimento di Medicina Cellulare e Molecolare dell'ateneo danese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto alcuni esperimenti con gruppi di topi transgenici affetti dalla forma murina dell'Alzheimer. Ai roditori è stata somministrata la sostanza naturale a lungo termine e gli animali sono stati studiati dal punto di vista comportamentale, biochimico ed elettrofisiologico attraverso analisi ad hoc.

Rispetto ai roditori del gruppo di controllo, i topi con la forma murina dell'Alzheimer trattati con l'urolitina A hanno mostrato significativi miglioramenti nei sintomi. Avevano un olfatto migliore, si orientavano con maggiore sicurezza, apprendevano più facilmente e presentavano minori problemi di memoria. Da esami più approfonditi il professor Bohr e colleghi hanno osservato un incremento nella funzione lisosomiale e la normalizzazione nelle catepsine lisosomiali, in particolar modo nei livelli della catepsina Z. Queste proteine risultano iperattive nei pazienti con Alzheimer e sono associate all'infiammazione. È stato rilevato un impatto positivo anche su beta amiloide e tau.

Ma da cosa derivano tutti questi benefici dell'urolitina A? La ragione, secondo gli esperti, risiede nel fatto che il composto naturale stimola la mitofagia, un processo biologico di autofagia che determina l'eliminazione dei mitocondri deboli che si accumulano (anche) nel cervello. Questi organelli giocano un ruolo fondamentale nel rimuovere la “spazzatura” dall'organismo e dal tessuto cerebrale; nei pazienti con neurodegenerazione non funzionano correttamente e quindi viene favorito l'accumulo delle proteine dannose che sfocia nei sintomi della demenza. L'eliminazione dei mitocondri deboli dal cervello, favorita da una migliore funzione lisosomiale, ha dunque un impatto positivo contro i processi legati alla neurodegenerazione. È proprio ciò che è stato osservato nei topi trattati con urolitina A. “Molti pazienti con malattie neurodegenerative sperimentano una disfunzione mitocondriale, nota anche come mitofagia. Ciò significa che il cervello ha difficoltà a rimuovere i mitocondri deboli, che quindi si accumulano e influenzano la funzione cerebrale. Se si riesce a stimolare il processo mitofagico, rimuovendo i mitocondri deboli, si otterranno risultati molto positivi”, ha spiegato il professor Bohr in un comunicato stampa.

In studi precedenti lo stesso team di ricerca aveva evidenziato risultati simili nel miglioramento dei sintomi dell'Alzheimer attraverso la nicotinamide riboside (integratore NAD), un altro composto che aiuta la rimozione dei mitocondri deboli. Al momento non è chiaro quale possa essere l'efficacia dell'integrazione di urolotina A (o del consumo di melograni e altri prodotti che la contengono) nella protezione contro la demenza, tuttavia secondo gli autori dello studio “le prospettive sono positive”. Il fatto che si parli di una sostanza naturale è chiaramente un vantaggio, dato che sussiste un rischio ridotto di potenziali effetti collaterali. Non resta che attendere il prosieguo della ricerca per conoscere l'effettiva efficacia anti Alzheimer della sostanza. I dettagli della ricerca “Urolithin A improves Alzheimer's disease cognition and restores mitophagy and lysosomal functions” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Alzheimer's & Dementia.

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