Alzheimer, scoperti 12 casi eccezionali senza sintomi: com’è possibile e perché sono importanti
Gli scienziati hanno fatto una scoperta incredibile, che potrebbe sfociare nel futuro sviluppo di terapie e farmaci innovativi contro il morbo di Alzheimer, la forma più comune di demenza al mondo, con circa 40 milioni di pazienti (che triplicheranno entro il 2050, secondo le stime). I ricercatori, infatti, hanno individuato 12 persone – ormai decedute – con evidenti segni neuropatologici della malattia di Alzheimer ma senza manifestare i sintomi del declino cognitivo. In altri termini, nel tessuto cerebrale di queste persone ci sono evidenti prove di neurodegenerazione, accumulo di proteine tossiche (placche di beta-amiloide e grovigli di tau), riduzione di neurotrasmettitori e altre condizioni legate alla demenza, ma senza presentare perdita di memoria, difficoltà nel linguaggio, problemi di orientamento e altri sintomi caratteristici della patologia. Gli studiosi li hanno chiamati "resilienti". Studiando a fondo questi casi eccezionali sperano di comprendere quali sono i fattori cellulari, ambientali e genetici che possono portare alla neuropatologia senza che essa sfoci nel declino cognitivo, la base per poter mettere a punto trattamenti innovativi contro l'Alzheimer.
A scoprire i 12 casi di Alzheimer asintomatico è stato un team di ricerca dei Paesi Bassi guidato da scienziati dell'Istituto olandese di neuroscienze – Accademia reale olandese delle arti e delle scienze, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della sezione di Epidemiologia e scienza dei dati dell'Università di Amsterdam, del Dipartimento di disturbi Neuropsichiatrici e altri istituti. I ricercatori, coordinati dal dottor Luuk de Vries del Dipartimento di Neurorigenerazione, hanno scovato questi casi anomali dopo aver analizzato i campioni di tessuto cerebrale conservati nella Banca del cervello olandese (Netherlands Brain Bank). Si tratta di una biobanca nella quale sono conservati oltre 5.000 campioni di cervello estratti da persone decedute con molteplici patologie cerebrali e neuropsichiatriche. L'aspetto significativo di questa banca dati risiede nel fatto che a ciascun cervello è associata una cartella clinica dettagliata con i sintomi sperimentati in vita. È proprio incrociando tutte queste preziose informazioni che sono stati identificati i 12 casi eccezionali, con evidenti segni neuropatologici dell'Alzheimer ma senza i caratteristici sintomi.
Per saperne di più il dottor de Vries e i colleghi si sono concentrati sull'analisi dell'espressione genetica di alcune decine di casi specifici, mettendo a confronto persone con Alzheimer conclamato (sintomatologico), senza Alzheimer e i casi definiti resilienti. Dall'indagine sono emersi tratti peculiari nei 12 soggetti del gruppo eccezionale. “Quando abbiamo esaminato l'espressione genetica, abbiamo visto che una serie di processi erano alterati nel gruppo resiliente. Innanzitutto, gli astrociti sembravano produrre una maggiore quantità di metallotioneina antiossidante”, ha spiegato il dottor de Vries in un comunicato stampa. Gli astrociti sono cellule gliali del tessuto nervoso che supportano i neuroni e proteggono il cervello da tossine e agenti patogeni. Sono considerati dei veri e propri “netturbini” del tessuto cerebrale. Spesso, come spiegato dagli autori del nuovo studio, queste cellule con un nucleo a forma di stella (da qui il loro nome) lavorano in sinergia con le microglia, cellule specializzate del sistema nervoso nella risposta immunitaria. L'azione di queste cellule, evidenzia il dottor de Vries, può tuttavia essere molto aggressiva e peggiorare l'infiammazione. Nel gruppo resiliente è stato osservato un percorso della microglia apparentemente meno attivo rispetto al gruppo Alzheimer.
Ma non finisce qui. Nel cervello delle 12 persone con demenza asintomatica è stata rilevata una funzione “relativamente normale” della “risposta proteica non ripiegata”, un meccanismo biologico che consente di ripulire il cervello da proteine tossiche, come quelle appiccicose della beta-amiloide e le neurofibrille di tau. Nei pazienti affetti da Alzheimer questa risposta risulta alterata. Inoltre nel cervello dei pazienti resilienti è stato trovato un maggior numero di mitocondri sani, organelli deputati alla produzione di energia.
È ancora troppo presto per capire da cosa derivino questi fattori protettivi, in grado di contrastare i sintomi dell'Alzheimer nonostante i processi neuropatologici in atto. È noto che l'attività fisica, la lettura, una vita sociale attiva e l'impegnarsi in lavori mentalmente complessi possono contrastare l'insorgenza del declino cognitivo durante l'invecchiamento, posticipandolo, ma i meccanismi biologici restano ancora un mistero. “Se riusciamo a trovare le basi molecolari della resilienza, allora avremo nuovi punti di partenza per lo sviluppo di farmaci, che potrebbero attivare processi legati alla resilienza nei pazienti affetti da Alzheimer”, ha chiosato il dottor de Vries.
Recentemente è stato scoperto che un composto naturale contenuto nei melograni, nella frutta secca e in altri alimenti di origine vegetale – chiamato urolitina A – è in grado di migliorare la memoria e altri sintomi dell'Alzheimer in modelli murini. I dettagli del nuovo studio “Gene-expression profiling of individuals resilient to Alzheimer's disease reveals higher expression of genes related to metallothionein and mitochondrial processes and no changes in the unfolded protein response” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata “Acta Neuropathologica Communications”.