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Alzheimer, perché i casi di demenza triplicheranno in soli 25 anni: aumenta il rischio nella mezza età

I casi di demenza aumenteranno del triplo entro il 2050 in tutto il mondo. In Italia si passerà da 1,48 milioni a 2,3 milioni. Moltissimi saranno quelli di Alzheimer, la più diffusa forma di demenza. Un nuovo studio ha determinato che il rischio di ammalarsi sta aumentando dai 55 anni in su. Cosa sta succedendo e quali sono le cause di questo aumento.
A cura di Andrea Centini
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Sempre più studi stanno evidenziando che nel giro di pochissimi decenni ci sarà un aumento significativo dei casi di demenza, di cui il morbo di Alzheimer è la forma più comune. Secondo i dati diffusi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attualmente nel mondo ci sono 50 milioni di persone affette da demenza e si passerà a 152 milioni entro il 2050. “Ogni anno circa 10 milioni di persone sviluppano la demenza, 6 milioni delle quali nei Paesi a basso e medio reddito”, ha dichiarato in un comunicato il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'OMS. Per quanto concerne l'Italia, il Rapporto mondiale Alzheimer 2024 messo a punto dagli esperti dell'Alzheimer’s Disease International (ADI) e pubblicato nel nostro Paese dalla Federazione Alzheimer Italia lo scorso 21 settembre, giornata mondiale della malattia neurodegenerativa, si ritiene che si passerà da circa 1,48 milioni di casi attuali – mezzo milione di Alzheimer – a 2,3 milioni entro 25 anni.

Ora un nuovo studio ha determinato che anche negli Stati Uniti ci sarà un raddoppio dei casi di demenza entro il 2060. Nello specifico, è stato determinato che si passerà dai 500.000 attuali a 1 milione di pazienti. Un dato particolarmente interessante della ricerca è relativo al rischio di ammalarsi, che ora risulta del 42 percento dopo i 55 anni. Inoltre è stato rilevato un incremento del rischio dopo i 75 anni, fissato al 50 percento. Per quanto concerne la fascia di età più giovane, si tratta di una percentuale sensibilmente superiore rispetto a quella rilevata da indagini passate. Dunque ci si ammala di più e prima. A determinarlo è stato un team di ricerca guidato da scienziati dell'Optimal Aging Institute e Dipartimento di Medicina della Scuola di Medicina “Grossman” presso l'Università di New York. Allo studio hanno partecipato anche il Medical Center dell'Università del Mississippi, il National Institute of Neurological Disorders and Stroke, la Johns Hopkins University e altri istituti. Lo studio è stato pubblicato su Nature Medicine.

I ricercatori, coordinati dal professor Josef Coresh, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i dati di oltre 15.000 adulti raccolti tra il 1987 e il 2020. Dall'indagine è emerso che il rischio di demenza è più alto nelle donne (48 percento) che negli uomini (35 percento), così come negli adulti neri (44 percento) rispetto agli adulti bianchi (41 percento). Anche il fatto di essere portatori di due copie del gene APOE4, strettamente connesso al rischio di Alzheimer, è stato associato a un incremento significativo del rischio di ammalarsi, pari al 59 percento. “I risultati del nostro studio prevedono un aumento drammatico del peso della demenza negli Stati Uniti nei prossimi decenni, con un americano su due che dovrebbe sperimentare difficoltà cognitive dopo i 55 anni”, ha affermato in un comunicato stampa il professor Coresh.

Ma perché sempre più persone si ammaleranno di demenza (e dunque anche di Alzheimer) nel prossimo futuro? L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indica che l'invecchiamento della popolazione è uno dei fattori chiave. La demenza, com'è noto, è una patologia neurodegenerativa fortemente associata all'avanzare dell'età, ma non sono solo gli anni che passano ad aumentare il rischio di declino cognitivo, caratterizzato da perdita di memoria, problemi di linguaggio, orientamento, coordinazione e altri disturbi. Ad esempio, è noto che le fasce di popolazione in condizioni socio-economiche svantaggiate hanno un rischio sensibilmente superiore. Anche non mantenere “allenata” la mente – ad esempio leggendo e studiando – e l'isolamento sociale possono esacerbare il rischio, così come la perdita dell'udito e malattie comuni alla stregua dell'ipertensione e altri disturbi cardiovascolari, spiegano gli autori del nuovo studio.

Pertanto migliorare l'assistenza sanitaria, rendere disponibili a più persone gli apparecchi acustici e favorire il coinvolgimento nelle attività sociali e di comunità può avere un impatto positivo sul numero di nuovi casi di demenza. In una recente intervista la professoressa Federica Agosta, docente di Neurologia presso l'Università Vita-Salute San Raffaele, ha spiegato a Fanpage.it che in media il 35 percento del rischio di ammalarsi di Alzheimer è legato a fattori modificabili. Fra essi ha citato l'alimentazione sbagliata e la vita sedentaria associati all'obesità, la sordità, l'isolamento sociale e una “vita cognitiva poco attenta”.

“L'imminente boom demografico nei casi di demenza pone sfide significative in particolare per i responsabili delle politiche sanitarie, che devono riconcentrare i propri sforzi su strategie per ridurre al minimo la gravità dei casi di demenza, nonché piani per fornire più servizi sanitari per le persone affette da demenza”, ha affermato il professor Coresh. Oltre all'impatto sanitario dell'Alzheimer, va tenuto presente anche quello economico e sociale; si ritiene che solo negli USA ogni anno si spendano circa 600 miliardi di dollari per via della demenza, una cifra spaventosa destinata a salire sensibilmente nei prossimi anni. Molte speranze sono legate anche alle nuove terapie a base di anticorpi monoclonali come il Donanemab, in grado di ridurre il declino cognitivo del 35 percento se somministrate precocemente.

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