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Alzheimer, impulsi magnetici nel cervello migliorano sintomi e declino cognitivo: lo studio italiano

Un team di ricerca italiano guidato da scienziati della Fondazione Santa Lucia IRCCS (Roma) ha dimostrato che la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva personalizzata (rTMS) è in grado di rallentare il declino cognitivo e migliorare altri sintomi in pazienti con Alzheimer.
A cura di Andrea Centini
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Il morbo di Alzheimer, la forma di demenza più diffusa al mondo, è ad oggi considerata una malattia neurodegenerativa incurabile. Alcuni trattamenti, come l'anticorpo monoclonale Donanemab, hanno tuttavia dimostrato che è possibile rallentare il declino cognitivo e la progressione della patologia quando applicati nella fase iniziale. Tra le terapie non farmacologiche che stanno riscuotendo un interesse significativo nella comunità scientifica vi è la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva personalizzata (rTMS), una tecnica non invasiva progettata per modulare l'attività cerebrale attraverso specifici impulsi magnetici ripetuti. Viene utilizzata con profitto nel trattamento di varie condizioni come depressione e morbo di Parkinson, così come nella riabilitazione dei pazienti colpiti da ictus.

Un nuovo studio condotto da scienziati italiani ha determinato che un ciclo prolungato di rTMS può offrire molteplici benefici ai pazienti con Alzheimer lieve e moderato, rallentando ad esempio il deterioramento delle funzioni cognitive, mantenendo l'autonomia nello svolgimento attività quotidiane e limitando i disturbi comportamentali associati alla demenza. Si tratta di risultati molto significativi che, di concerto con quelli di altre terapie, potrebbe portare a un trattamento trasversale in grado di “tenere a bada” le conseguenze peggiori dell'Alzheimer, una vera e propria emergenza sanitaria che ha un impatto devastante a livello sanitario, sociale ed economico, anche per chi assiste i malati.

A determinare che la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva personalizzata (rTMS) è in grado di contrastare i segni dell'Alzheimer è stato un team di ricerca italiano guidato da scienziati del Dipartimento di Neurologia Clinica e Comportamentale della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell'Università di Tor Vergata, del Dipartimento di Neuroscienze Rita Levi Montalcini dell'Università di Torino e del Programma di neuroscienze di precisione e neuromodulazione presso il Massachusetts General Hospital. I ricercatori coordinati dal dottor Giacomo Koch sono giunti alle loro conclusioni dopo aver sottoposto 48 pazienti con diagnosi di Alzheimer da lieve a moderato a un ciclo di rTMS della durata di 52 settimane o a stimolazioni placebo (simulazione). L'età media dei partecipanti era di circa 73 anni e in leggera maggioranza si trattava di donne (56 percento). Il tasso di completamento della terapia, che è risultata ben tollerata al netto di lievi mal di testa e irritazione al cuoio capelluto, è stato del 68 percento.

Sia i 27 pazienti trattati con rTMS che i 21 con la stimolazione placebo sono stati sottoposti a una serie di test standardizzati per valutare l'impatto della terapia. Ebbene, i benefici per il gruppo di intervento sono stati numerosi e significativi. Ad esempio, dopo 52 settimane di trattamento, è stato osservato un aumento del punteggio medio di 1,36 nel gruppo rTMS e di 2,45 in quello placebo del Clinical Dementia Rating Scale–Sum of Boxes, una scala di valutazione della demenza basata su analisi della memoria, problem solving, attività quotidiane e altri parametri. Punteggi più bassi indicano una situazione patologica migliore. La scala dell'Alzheimer's Disease Cooperative Study, utilizzata principalmente per valutare l'autonomia nelle attività quotidiane, ha visto una diminuzione del punteggio di 1,5 nel gruppo rTMS e di ben 11,6 nel gruppo placebo; in questo caso la riduzione minore indicava un miglior mantenimento dell'indipendenza. I ricercatori hanno osservato anche un deterioramento cognitivo più lento nel test Alzheimer's Disease Assessment Scale, con 5,9 punti di peggioramento nel gruppo rTMS e 10,4 punti in quello placebo. Anche altri test come quelli dedicato al comportamento hanno evidenziato benefici nei pazienti sottoposti alla stimolazione magnetica, evidenziando miglioramenti nell'apatia, nell'euforia e nell'appetito.

Ma perché la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva personalizzata risulta così efficace contro i segni dell'Alzheimer? La ragione risiede verosimilmente nel fatto che i ricercatori hanno condotto tale stimolazione in una specifica regione del cervello chiamata precuneo, sita tra i due emisferi nel lobulo parietale superiore. Essa è legata ai processi mnemonici, all'elaborazione visuo-spaziale, al benessere emotivo, all'orientamento e ad altri fattori cognitivi. Proprio in questa regione si osservano gli effetti precoci della neurodegenerazione, con accumulo di “proteine appiccicose” (beta-amiloide) nel tessuto cerebrale e riduzione delle sinapsi. Per questo motivo gli scienziati hanno ritenuto che fosse tra i migliori bersagli terapeutici per la stimolazione transcranica, che punta a rimodulare e plasmare l'attività cerebrale. Nel corso dello studio i pazienti sono stati sottoposti a un totale di circa 100.000 impulsi magnetici a 20 Hz, inviati a ondate in intervalli regolari.

Chiaramente, anche alla luce del piccolo campione oggetto di analisi, sarà necessario condurre indagini più approfondite per confermare l'effettiva efficacia terapeutica contro la demenza della rTMS; il potenziale impiego sinergico con terapie farmacologiche e di altro genere potrebbe rappresentare comunque una svolta nel contenere gli effetti della neurodegenerazione. I dettagli della ricerca “Effects of 52 weeks of precuneus rTMS in Alzheimer’s disease patients: a randomized trial” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Alzheimer's Research & Therapy.

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