Alzheimer, gravi effetti collaterali associati ai farmaci antipsicotici usati per trattare la demenza
I farmaci antipsicotici utilizzati per contrastare i disturbi comportamentali del morbo di Alzheimer e altre forme di demenza sono associati a gravi effetti collaterali (o più correttamente, esiti avversi), tra i quali figurano ictus, infarto del miocardio, polmonite e insufficienza cardiaca. È quanto emerso da un nuovo studio che ha confrontato le cartelle cliniche di pazienti con demenza trattati o meno con questa classe di medicinali. È stato osservato che l'incidenza delle severe patologie aumenta in modo significativo soprattutto all'inizio del trattamento, rendendo la prescrizione dei farmaci ancor più delicata e controversa. Sebbene possibile e giustificato in determinate circostanze, infatti, l'uso degli antipsicotici per contrastare aggressività, agitazione, deliri e altri disturbi comportamentali legati alla demenza è da sempre tenuto sotto stretta sorveglianza dalle autorità regolatorie, alla luce dei rischi emersi in letteratura scientifica (come l'aumento della mortalità).
Questi farmaci, del resto, non curano la neurodegenerazione, ma servono solo a “tenere a bada” i sintomi sopracitati. Spesso, come spiegato all'Agence France Press (AFP) dal neurologo Charles Marshall, gli antipsicotici vengono prescritti ai pazienti con demenza “solo perché non è sufficientemente disponibile personale formato in grado di gestire in sicurezza il loro comportamento”. Ciò catalizza il rischio di gravissime conseguenze potenzialmente fatali, come evidenziato dalla nuova indagine, pertanto gli esperti giustificano il loro uso solo in specifiche e rare circostanze.
A determinare che i farmaci antipsicotici impiegati per trattare i disturbi comportamentali dell'Alzheimer (e altre forme di demenza) aumentano il rischio di gravi esiti avversi è stato un team di ricerca britannico guidato da scienziati della Divisione di Farmacia e Optometria dell'Università di Manchester, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di molteplici istituti. Fra quelli coinvolti il College di Medicina e Medicina Veterinaria dell'Università di Edimburgo; il Dipartimento Nuffield dell'Università di Oxford; e la Facoltà di Medicina dell'Università di Nottingham.
I ricercatori, coordinati dal professor Pearl LH Mok, docente presso il Centro di farmacoepidemiologia e sicurezza dei farmaci dell'ateneo inglese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto uno studio di coorte basato sulla popolazione nel quale sono stati coinvolti oltre 170.000 pazienti (63 percento donne) con demenza, diagnostica tra il 1 gennaio 1998 e il 31 maggio 2018. L'età dei partecipanti era maggiore o uguale a 50 anni. I dati sono stati recuperati dal database Clinical Practice Research Datalink (CPRD).
Gli scienziati hanno identificato nel gruppo circa 35.000 pazienti sottoposti al trattamento con antipsicotici, mettendo a confronto le loro cartelle cliniche con quelle delle persone con demenza non trattate con questi farmaci. L'obiettivo era verificare l'incidenza di determinati, gravi, esiti avversi. Come indicato, in coloro cui erano stati prescritti farmaci per i disturbi comportamentali i ricercatori hanno osservato un incremento significativo di tali esiti avversi, soprattutto all'inizio della terapia antipsicotica. A 90 giorni dalla prescrizione è emersa un'associazione con un rischio 2,19 volte superiore di polmonite; 1,72 volte di danno renale acuto; 1,62 volte di tromboembolia venosa; 1,61 volte di ictus; 1,43 volte di fratture; 1,28 volte di infarto del miocardio; e 1,27 di insufficienza cardiaca. Non sono state trovate associazioni con l'aritmia cardiaca.
Tra i farmaci antipsicotici coinvolti nell'indagine il risperidone, l'aloperidolo, l'olanzapina e la quetiapina. Come specificato in un documento pubblicato dalla Regione Veneto, il risperidone è “l’unico antipsicotico di seconda generazione che in Italia sia autorizzato per il ‘trattamento a breve termine dell’aggressività persistente in pazienti con AD di grado da moderato a lieve che non risponde ad approcci non farmacologici e quando esiste un rischio di nuocere a se stesso e agli altri'”. Altri antipsicotici possono essere prescritti “off label” con diverse limitazioni e comunque valutati accuratamente per il singolo caso, proprio alla luce dei potenziali rischi che comportano.
“L'uso di antipsicotici rispetto al non uso negli adulti con demenza è stato associato ad un aumento del rischio di ictus, tromboembolia venosa, infarto miocardico, insufficienza cardiaca, frattura, polmonite e danno renale acuto, ma non di aritmia ventricolare. La gamma di esiti avversi era più ampia di quanto precedentemente evidenziato negli avvisi normativi, con i rischi più elevati subito dopo l’inizio del trattamento”, hanno chiosato gli autori nell'abstract del nuovo studio. È doveroso sottolineare che quello britannico è stato uno studio di osservazione, pertanto sarà necessario condurre indagini più approfondite per far emergere rapporti di causa-effetto con gli esiti avversi. I dettagli della ricerca “Multiple adverse outcomes associated with antipsychotic use in people with dementia: population based matched cohort study” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica British Medical Journal.