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Alzheimer, farmaco anti Parkinson elimina l’amiloide dal cervello e migliora i sintomi nei test

Ricercatori giapponesi hanno dimostrato che un farmaco anti Parkinson è in grado di ridurre le placche di beta amiloide nel cervello e migliorare la memoria in modelli murini affetti da Alzheimer. Come funziona e perché ci sono speranze per una nuova terapia.
A cura di Andrea Centini
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Un farmaco utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson è in grado di eliminare le placche di beta amiloide dal cervello e migliorare la memoria e altri sintomi cognitivi dell'Alzheimer. L'efficacia è stata rilevata in topi con la forma murina della patologia neurodegenerativa, tuttavia gli scienziati sono fiduciosi che lo stesso risultato possa essere ottenuto negli studi clinici, ovvero nei test sull'uomo. Va tenuto presente che non tutto ciò che funziona nei roditori da laboratorio poi risulta efficace nella nostra specie, inoltre il farmaco impiegato – chiamato levodopa o L-DOPA – non è privo di effetti collaterali, che possono essere anche molto seri nei pazienti con Parkinson. Il fatto che un farmaco per questa malattia possa essere efficace anche nell'Alzheimer non deve comunque stupire; si tratta infatti di patologie neurodegenerative (cioè che uccidono i neuroni, anche se in sedi differenti con sintomi differenti) che un recente studio italiano condotto da scienziati dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-ISTC) ha definito come due facce della stessa malattia. In altri termini, si tratterebbe di una duplice manifestazione della medesima patologia.

A determinare che il farmaco L-DOPA anti Parkinson è in grado di eliminare le placche di beta amiloide dal cervello di topi affetti dalla forma murina dell'Alzheimer e migliorarne i sintomi è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati giapponesi del RIKEN Center for Brain Science di Saitama, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Neurobiologia – Centro per la Ricerca sull'Alzheimer del Karolinska Institutet (Svezia) e della Graduate School of Biomedical Sciences dell'Università di Nagasaki. I ricercatori, coordinati da Takaomi C. Saido e Naoto Watamura del Laboratorio di Neuroscienze proteolitiche presso il RIKEN, hanno basato la propria ricerca sui risultati di precedenti studi sulla neprilisina. Era stato infatti determinato che questo enzima era in grado di ridurre le placche di beta-amiloide e migliorare la memoria nei topi. L'accumulo di queste proteine appiccicose insieme ai grovigli di proteina tau sono segni fortemente associati alla neurodegenerazione nel cervello dei pazienti con Alzheimer.

Gli scienziati hanno scoperto che l'aumento dell'ormone dopamina nel cervello è in grado di incrementare i livelli di neprilisina e ridurre le placche di beta-amiloide. Poiché la dopamina non può entrare nel cervello con il flusso sanguigno a causa della barriera ematoencefalica, i ricercatori si sono concentrati su L-DOPA, tecnicamente un profarmaco che, grazie agli amminoacidi, riesce a trasportare il principio attivo nel sistema nervoso centrale ed essere convertito (metabolizzato) in dopamina. Levodopa o L-DOPA viene utilizzato nel trattamento del Parkinson poiché questa patologia è caratterizzata proprio dalla carenza di dopamina, causata dalla distruzione dei neuroni dopaminergici in una parte del cervello chiamata substantia nigra (sita nel mesencefalo). Poiché indagini su cellule coltivate hanno evidenziato che l'aumento della dopamina catalizza la produzione di neprilisina, che a sua volta è in grado di scomporre le placche di beta-amioide, i ricercatori hanno testato il farmaco in topi affetti dalla forma murina dell'Alzheimer.

Il trattamento cronico per tre mesi con L-DOPA nei topi con Alzheimer murino ha confermato che si determina un aumento della neprilisina – il meccanismo biologico non è chiaro – con conseguente diminuzione dell'amiloide nel tessuto cerebrale e miglioramenti nei test di memoria rispetto ai roditori del gruppo di controllo. Ciò suggerisce che il farmaco possa essere efficace anche nei pazienti affetti dalla più diffusa forma di demenza al mondo, che colpisce circa 50 milioni di persone, secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). “Abbiamo dimostrato che il trattamento con L-DOPA può aiutare a ridurre le placche beta-amiloide dannose e migliorare la funzione della memoria in un modello murino di malattia di Alzheimer”, ha dichiarato in un comunicato stampadel RIKEN il primo autore dello studio Watamura Naoto. “Tuttavia è noto che il trattamento con L-DOPA ha gravi effetti collaterali nei pazienti con malattia di Parkinson. Pertanto, il nostro prossimo passo è indagare come la dopamina regola la neprilisina nel cervello, il che dovrebbe produrre un nuovo approccio preventivo che può essere avviato nella fase preclinica della malattia di Alzheimer”, ha chiosato l'esperto.

Tra le reazioni avverse associate al profarmaco levodopa figurano nausea, vomito, ipotensione, aritmie e disturbi psichici. Anche la sospensione del trattamento può portare a ipertermia, ipertensione, ipotensione e aumento degli enzimi epatici. Per questa ragione gli studiosi proveranno a sfruttare i dati dalla ricerca per approntare un nuovo farmaco anti Alzheimer con meno rischi potenziali per la salute. I dettagli della ricerca “The dopaminergic system promotes neprilysin-mediated degradation of amyloid-β in the brain” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica ScienceSignaling.

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