Alcuni batteri possono trasformare l’anidride carbonica in utile bioplastica
Nella lotta contro i cambiamenti climatici per effetto dei crescenti livelli di gas serra nell’atmosfera, diversi team di ricerca stanno concentrando i loro sforzi nello sviluppo di tecnologie eco-compatibili che possano contribuire non solo a ridurne la concentrazione ma anche a raggiungere il cosiddetto net zero, lo stato di zero emissioni nette di carbonio attraverso la rimozione dell’anidride carbonica (CO2) dall’aria. Tra i vari metodi sviluppati dagli studiosi, uno sta ricevendo molta attenzione in quanto permette di catturare la CO2 e convertire questo pericoloso gas serra in bioplastiche di origine microbica. Il suo sviluppo si deve a un team ingegneri biochimici del Korea Advanced Institute of Science and Technology (KAIST) di Daejeon, in Corea del Sud, che è riuscito a mettere a punto un sistema che produce un tipo comune di bioplastica, il poliestere poli-3-idrossibutirato (PHB) con l’aiuto di una specie batterica chiamata Cupriavidus necator.
Il sistema, che collega insieme due metodi di riciclo della CO2 – la tecnica di conversione elettrochimica della CO2, in grado di trasformare l’anidride carbonica in prodotti del utili del carbonio, e la bioconversione microbica a opera di C. necator – , è stato dettagliato in un articolo di ricerca dal titolo “Biohybrid CO2 electrolysis for the direct synthesis of polyesters from CO2” pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). La tecnologia di trasformazione, precisano gli autori dello studio, produce bioplastica dalla CO2 con un’efficienza che è di oltre 20 volte superiore a quella di sistemi simili testati in precedenza.
“I risultati di questa ricerca sono tecnologie che possono essere applicate alla produzione di varie sostanze chimiche e bioplastiche e dovrebbero essere utilizzate come parti chiave necessarie per raggiungere la neutralità del carbonio in futuro” affermano gli autori corrispondenti dello studio, il professor Hyunjoo Lee e il distinguished professor Sang Yup Lee del Dipartimento di ingegneria chimica e biomolecolare del KAIST.
Come funziona la conversione della CO2 in bioplastica di origine microbica
La tecnologia sviluppata dal KAIST si basa su un sistema in due fasi, di cui la prima è rappresentata da un elettrolizzatore che trasforma la CO2 gassosa in formiato mediante una reazione di conversione elettrochimica. Questo sistema è collegato a un fermentatore in cui vengono coltivati i microrganismi. “La CO2 convertita in formiato nell’elettrolizzatore viene immessa nel fermentatore in cui microbi come il C. necator, in questo caso, consumano tale fonte di carbonio per produrre in modo efficiente prodotti multicarbonio a valore aggiunto, come il poli-3-idrossibutirrato (PHB)” spiegano gli studiosi.
Il C. necator, già noto per la sua capacità di sintetizzare composti del carbonio come il PHB, un tipo di poliestere biodegradabile e compostabile, da altre fonti di carbonio, assorbe il formiato ottenuto nella reazione di elettrolisi e accumula granuli di PHB, che possono quindi essere estratti dalle cellule. L’ottimizzazione di tale conversione, attraverso lo sviluppo di soluzioni in grado di ovviare alle limitazioni del processo naturale, così come alle interruzioni dovute anche all’accumulo di sottoprodotti della reazione di elettrolisi che possono modificare le condizioni di coltura dei microbi, ha permesso agli studiosi di superare per la prima volta al mondo una produzione superiore al grammo di PHB senza ricorrere all’impiego di combustibili fossili.
In particolare, quando l’intero sistema è alimentato da energia rinnovabile, il metodo fornisce una soluzione di produzione di bioplastiche dalla CO2 gassosa che raggiunge un contenuto di PHB pari all’83% del peso secco cellulare, con una produttività di 1,38 g di PHB con un elettrodo di 4 cm2, che è oltre 20 volte superiore a quella prodotta con sistemi simili testati in precedenza.
Il team riferisce inoltre che il sistema può funzionare senza interruzioni fintanto che le cellule batteriche vengono quotidianamente reintegrate e la bioplastica prodotta viene rimossa. In tale scenario, la produzione continua sarebbe la chiave per l’impiego del sistema su scala industriale.