Addio neve, il 90% delle piste italiane innevato artificialmente: “Insostenibile e costoso”
Ad aprile dello scorso anno gli scienziati della missione Copernicus cogestita dalla Commissione Europea e dall'Agenzia Spaziale Europea (ESA) pubblicarono una foto emblematica dell'Italia vista dallo spazio, scattata a 800 chilometri di quota dal satellite Sentinel-3. L'immagine, estremamente suggestiva, mostrava il territorio dello “Stivale” nella sua interezza, sgombro dalle nuvole. A prima vista sembrava bellissima, ma in realtà celava un vero e proprio dramma: la totale assenza della neve, una vera e propria anomalia all'inizio della primavera. La sparizione del manto imbiancato, un tempo normale, è figlio dell'aumento delle temperature catalizzato dai cambiamenti climatici, che stanno stravolgendo gli equilibri e gli ecosistemi montani in ampie regioni del mondo. Sulle Alpi e sugli Appennini nevica sempre per meno giorni e con meno intensità, col risultato che la poca neve accumulata sparisce anzitempo e i ghiacciai vanno in estrema sofferenza. Entro la fine del secolo ne saranno spariti moltissimi, ma alcuni, come la Marmolada, sono destinati a fondersi definitivamente nel giro di pochi decenni.
Nonostante la crisi climatica in atto, il turismo invernale tradizionale continua (quasi) come nulla fosse grazie all'innevamento artificiale, un pratica molto costosa e insostenibile, ma che per l'Italia è indispensabile per mantenere lo status quo e non chiudere larga parte degli impianti sciistici. Come indicato nel nuovo rapporto di Legambiente “Nevediversa 2023: Il turismo invernale nell'era della crisi climatica”, ben il 90 percento delle piste da sci italiane è innevato artificialmente. Si tratta del Paese alpino che ha più bisogno di neve artificiale, considerando che al secondo posto c'è l'Austria con il 70 percento delle piste innevate artificialmente; al terzo la Svizzera col 50 percento; e al quarto la Francia col 39 percento. Chiude la Germania col 25 percento.
Per sostenere l'innevamento artificiale, in Italia sono presenti ben 142 bacini idrici artificiali a ridosso degli impianti sciistici, che l'organizzazione ambientalista ha mappato attraverso le osservazioni satellitari. La maggior parte di essi si trova in Trentino Alto Adige, dove sono presenti 59 invasi; seguono la Lombardia (17) e il Piemonte con 16. In Abruzzo se ne contano invece 4. A causa della carenza di neve e di altri fattori ci sono sempre più impianti dismessi, aperti e chiusi a rubinetto, chiusi temporaneamente o sottoposti ad “accanimento terapeutico”, come spiega Legambiente, che per sopravvivere ricevono ingenti somme di denaro pubblico. Non mancano edifici fatiscenti, strutture abbandonate e simili, che deturpano ambienti dall'elevatissimo valore ecosistemico e paesaggistico.
Ma quanto costa innevare artificialmente le piste che non ricevono più il candido manto naturalmente? I consumi sono di vario tipo, a partire da quello idrico – con l'acqua sempre più preziosa e a rischio razionamento per la siccità – e da quello energetico. Legambiente sottolinea che il consumo annuo di acqua “già ora potrebbe raggiungere 96.840.000 di metri cubi, che corrispondono al consumo idrico annuo di circa una città da un milione di abitanti”. Come emerso da un report della Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi (CIPRA) citato da Legambiente nel 2019, per coprire di neve artificiale i circa 24mila ettari di piste innevabili sulle Alpi si consumano ben 600 Gwh (gigawattora) di energia elettrica, pari al consumo di 130mila famiglie di 4 persone per un anno intero. A pesare i macchinari per convertire l'acqua liquida in neve artificiale, i cannoni per spararla, le torri di raffreddamento, i generatori e così via. A questi vanno aggiunti i costi logistici.
A pesare ulteriormente sul bilancio della neve artificiale anche l'aumento dei costi per produrla. Come spiegato da Legambiente, infatti, se nel 2021-2022 servivano circa 2 Euro per produrre 1 metro cubo di neve, nel 2022-2023 si è passati dai 3 ai 7 Euro al metro cubo. Servono circa 20mila metri cubi di neve artificiale per innevare una pista media di 1,5 chilometri. Questi dati indicano chiaramente quanto siano sproporzionati e insostenibili – sia economicamente che dal punto di vista ambientale – i costi per mantenere in vita il turismo da “settimana bianca” tradizionale, nel contesto di una crisi climatica che ha un impatto significativo anche sugli sport invernali. Basti sapere che le Olimpiadi di Pechino del 2022 sono state le prime con il 100 percento di neve artificiale, mentre secondo uno studio previsionale dell'Università di Waterloo solo una delle città che ha già ospitato le Olimpiadi invernali in passato sarà in grado di rifarlo naturalmente nel 2100.
Alla luce di questi dati drammatici, legati alle emissioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas a effetto serra di origine antropica, Legambiente sottolinea l'importanza di pensare a “un nuovo modello ecosostenibile di turismo invernale” e di indirizzare in maniera più oculata le risorse derivate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Ma siamo davvero pronti a rinunciare al turismo invernale tradizionale per proteggere il pianeta e noi stessi? Il ragionamento, in fondo, non è distante da quello dello stop alle auto con motori termici basati sui combustibili fossili.