Abbiamo capito quale prodotto chimico può essere la causa del morbo di Parkinson
Il tricloroetilene (TCE), un prodotto chimico meglio conosciuto con il nome di trielina e fino agli anni Settanta ampiamente utilizzato in innumerevoli applicazioni industriali, commerciali, militari e mediche, può essere una delle cause del morbo di Parkinson. Lo evidenzia un nuovo studio pubblicato sul Journal of Parkinson’s Disease da un team internazionale di ricercatori, tra cui i neurologi del Centro medico dell’Università di Rochester (USA) Ray Dorsey, Ruth Schneider e Karl Kieburtz, in cui si mette in relazione l’esposizione (spesso inconsapevole) a questa sostanza chimica con l’aumento globale dei casi di malattia, più che raddoppiati negli ultimi 30 anni.
Ad oggi, alcune delle cause dell’insorgenza di tale sindrome neurodegenerativa, come le mutazioni genetiche e i traumi cranici, sono ampiamente riconosciute, ma la stragrande maggioranza dei casi non è riconducibile a questi fattori. I tassi di crescita della malattia (più di quanto si possa spiegare con il solo invecchiamento) hanno portato a ritenere che diverse sostanze tossiche siano associate a un aumento del rischio di parkinsonismo, tra cui appunto il tricloroetilene, alla cui esposizione sono già state collegate diverse altre malattie. “Il tricoloroetilene è una semplice molecola a sei atomi che può decaffeinare il caffè, sgrassare le parti metalliche e lavare a secco i vestiti – scrivono i ricercatori nel loro articolo – . La sostanza chimica incolore è stata collegata per la prima volta al parkinsonismo nel 1969”.
Essendo già stato associato ad un aumento dei rischio di cancro e aborti spontanei, il tricloroetilene non è più così ampiamente utilizzato come in passato – ha trovato impiego nella rimozione della vernice, nella pulizia dei motori, nel lavaggio a secco, come liquido correttore per macchine da scrivere ma anche nella decaffeinazione del caffè e come anestetico per i pazienti – , ma gli autori del nuovo rapporto suggeriscono che il suo ruolo nella malattia di Parkinson sia stato ampiamente trascurato.
Un inquinante industriale ubiquitario e diffuso
Fino a 50 anni fa, sottolineano i ricercatori, questo prodotto era “onnipresente”: le stime indicano che circa 10 milioni di persone negli Stati Uniti abbiano avuto contatti con la sostanza chimica o qualcosa di simile ogni giorno, così come nel Regno Unito, dove si ritiene che l’8% dei lavoratori sia stato esposto a questo solvente.
“Sebbene l’uso domestico sia diminuito, dal 1990 l’esposizione professionale al tricloroetilene è aumentata del 30% in tutto il mondo – precisano gli studiosi – . Un’indagine del 1994 in Italia ha rilevato il tricloroetilene a concentrazioni relativamente elevate nel sangue e nelle urine di tre quarti di un campione della popolazione generale”.
Nonostante l’impiego più limitato nell’Unione Europea e in alcuni Paesi degli Stati Uniti, il tricloroetilene è ancora utilizzato per lo sgrassaggio a vapore e la pulizia a secco negli USA e per usi industriali autorizzati nell’UE, oltre a continuare ad essere particolarmente richiesto, in particolare dalla Cina. Tuttavia, anche nelle aree in cui la sostanza chimica è vietata, i ricercatori sostengono che ne siamo ancora esposti a causa della continua contaminazione dell’acqua e del suolo.
Tricloroetilene e morbo di Parkinson
A partire dall’associazione già nota con il Parkinson, il team ha raccolto prove della misura in cui il tricloroetilene è stato utilizzato nei processi industriali, rivisto studi precedenti che collegano la sostanza chimica al parkinsonismo e indagato su diversi casi in cui il tricloroetilene e la malattia potrebbero essere collegati.
In particolare, gli studiosi hanno indicato diverse ricerche, di cui una che coinvolge tre lavoratori in impianti industriali e una che riguarda un meccanico di automobili. In uno studio su 198 gemelli condotto nel 2011, quelli esposti al tricloroetilene avevano una probabilità cinque volte maggiore di sviluppare il morbo di Parkinson.
Nonostante questi studi e altre ricerche che mostrano gli effetti dannosi del tricloroetilene sugli animali, l’esatta natura della correlazione deve ancora essere confermata. Ciò è dovuto a numerose ragioni, tra cui la scarsa consapevolezza di ciò con cui le persone sono venute in contatto o la presenza di un’esposizione contemporanea a diverse sostanze chimiche potenzialmente tossiche.
“Il tempo che intercorre tra l’esposizione e l’insorgenza della malattia può essere di decenni – aggiungono gli studiosi – . Gli individui, se fossero consapevoli della loro esposizione alla sostanza chimica, potrebbero essersene dimenticati da tempo”.
“Coloro che hanno lavorato con il solvente o che vivevano vicino a un sito contaminato potrebbero aver cambiato lavoro o essersi trasferiti, rendendo difficile la valutazione retrospettiva dei potenziali cluster”.
Ad ogni modo, davanti ai rischi per la salute consolidati e l’associazione con il Parkinson, i ricercatori chiedono il divieto totale di impiego per il tricloroetilene e per il percloroetilene (PCE) strettamente correlato, nonché la decontaminazione dei siti per cui è nota la contaminazione. Oltre a ciò, gli studiosi sottolineano la necessità di indagini più dettagliate e approfondite su come il tricloroetilene e il morbo di Parkinson siano essere collegati.