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Perché l’Italia ha chiesto 1 miliardo di Euro a X, Linkedin e Meta per il pagamento dell’IVA

L’Agenzia delle Entrate ha inviato un avviso a Meta, X e Linkedin per il pagamento dell’IVA. I tre colossi dei social network, secondo un’esclusiva della Reuters, devono sborsare un totale di 1 miliardo di Euro.
A cura di Andrea Centini
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Nuovo capitolo delle controversie fiscali tra l'Italia e le Big Tech statunitensi. Questa volta a finire nel mirino dell'Agenzia delle Entrate sono i tre colossi dei social network Meta, X e Linkedin. Secondo un'esclusiva dell'agenzia di stampa britannica Reuters, infatti, l'Italia avrebbe chiesto il pagamento di circa 1 miliardo di Euro alle società, ripartito in questo modo: 887,6 milioni di Euro a Meta, la casa di Instagram, Facebook e WhatsApp; 12,5 milioni di Euro a X, il fu Twitter acquisito da Elon Musk per 44 miliardi di dollari; e una cifra attorno ai 140 milioni di Euro a LinkedIn, il social media specializzato in contatti professionali e di lavoro. Nello specifico, l'Italia chiede il pagamento dell'IVA, acronimo di  Imposta sul Valore Aggiunto, una tassa indiretta su beni e servizi che i cittadini pagano quando acquistano un oggetto, mentre le imprese la versano direttamente nelle casse dello Stato. L'aliquota ordinaria, che riguarda la maggior parte dei beni e dei servizi, è pari al 22 percento.

Stando a quanto riferito dalla Reuters, la richiesta di questi soldi si riferisce a un periodo compreso tra il biennio 2015-2016 e quello 2021-2022 a seconda dei casi, tuttavia “l'avviso di pagamento ora notificato riguarda solo gli anni per i quali le pretese sono destinate a scadere, ovvero il 2015 e il 2016”. Ciò che rende questa richiesta senza precedenti, riguarda il fatto che l'IVA è richiesta sul principio di funzionamento dei social network, ovvero la registrazione di un account da parte degli utenti. In pratica, secondo lo Stato italiano, vi è uno scambio tra i dati di chi si registra e il servizio offerto dal social network. Sappiamo infatti che ciò che sembra “gratuito” in realtà non lo è, proprio perché i dati che forniamo vengono utilizzati dalle aziende per la profilazione e il conseguente marketing. L'Italia sostiene che questo scambio è una transazione imponibile a tutti gli effetti, come la compravendita di un bene o servizio qualsiasi, da qui la richiesta complessiva del miliardo di Euro alle aziende coinvolte.

Poiché l'imposta sul valore aggiunto è presente in tutti i Paesi dell'Unione Europea, questa richiesta italiana verso le Big Tech potrebbe fare “scuola” nel Vecchio Continente, esacerbando ulteriormente gli attriti tra Stati Uniti e UE, alla luce della “guerra dei dazi” che sta portando avanti Donald Trump. L'ultimo affondo è stato quello del 25 percento sulle auto, che sta già avendo effetti sul listino delle vetture. Ferrari, che ha un mercato significativo negli States, ha annunciato che ci sarà un aumento fino al 10 percento per i propri modelli importati dopo il 2 aprile.

Reuters ha contattato le Big Tech coinvolte nella richiesta di pagamento dell'IVA, ottenendo risposte diverse. Meta, ad esempio, oltre ad aver affermato di aver pienamente collaborato con le autorità "in merito ai nostri obblighi ai sensi della legislazione locale e dell'UE", sottolinea di essere "fortemente in disaccordo con l'idea che la fornitura di accesso alle piattaforme online agli utenti debba essere soggetta a IVA". X di Elon Musk, che ha uno stretto rapporto di amicizia con la premier Giorgia Meloni, non ha risposto alla Reuters, mentre LinkedIn ha dichiarato di "non avere nulla da condividere al momento".

Le aziende interessate hanno 60 giorni di tempo dalla ricezione dell'avviso di pagamento per fare ricorso e andare in tribunale, ma come spiega Reuters, se formulano una proposta di accordo ottengono un ulteriore mese. Ci sono varie strade che possono portare alla fine della controversia, dal pagamento alla rinuncia da parte del Fisco per varie ragioni. Ciò che è certo è che un caso del genere potrebbe avere ripercussioni significative anche su altri settori, considerando che non sono solo i social network a offrire un servizio in cambio di dati personali. Basti pensare ai cookie di profilazione sui portali web con fini di marketing o alle carte di supermercati, benzinai e altre catene per ottenere punti e premi.

Ricordiamo anche che in Italia da alcuni anni è stata introdotta la tassa del 3 percento sui servizi digitali (Isd), che colpisce principalmente le Big Tech con più di 750 milioni di Euro di fatturato. Il nostro Paese ha già avuto diverse controversie fiscali con le grandi società americane dell'IT: si ricordino ad esempio i 100 milioni pagati da Facebook nel 2017 e gli oltre 300 milioni di Euro versati da Google e Apple tra il 2015 e il 2016. Il nuovo caso rischia di incrinare ulteriormente i rapporti tra USA ed Europa in un contesto geopolitico estremamente complesso.

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