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Rischio “Piedi da bambino” per gli astronauti bloccati 9 mesi nello spazio, ora al rientro sulla Terra

I due astronauti Butch Wilmore e Suni Williams rimasti bloccati per nove mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) stanno finalmente tornando sulla Terra. La lunga permanenza sullo spazio potrebbe aver provocato loro una condizione nota come “piedi da bambino” o baby feet. Ecco di cosa si tratta.
A cura di Andrea Centini
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I due astronauti Butch Wilmore e Suni Williams bloccati sulla ISS
I due astronauti Butch Wilmore e Suni Williams bloccati sulla ISS

Dopo oltre nove lunghissimi mesi di permanenza nello spazio, alle 05:05 ora italiana di martedì 18 marzo i due astronauti statunitensi Butch Wilmore e Suni Williams della Boeing Starliner sono finalmente ripartiti alla volta della Terra. Il loro arrivo è previsto quest'oggi, attorno alle 22:00, circa 17 ore dopo lo sgancio della navetta Crew Dragon dalla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), dove sarebbero dovuti restare per otto giorni. Purtroppo i problemi tecnici alla loro navicella e i continui rinvii – con non pochi strascichi polemici – hanno fatto sì che il breve soggiorno si trasformasse in una missione di lunga durata, con tutto ciò che ne consegue per il corpo degli astronauti. C'è infatti molta attesa e curiosità riguardo alle loro condizioni di salute, considerando che pur essendo esperti e ben preparati dalla NASA, prima di partire (il 5 giugno 2024) i due non avevano comunque seguito un addestramento specifico per una missione di così lunga durata. Tutti, del resto, ricordiamo le immagini degli astronauti recuperati con sedie a rotelle o portati a braccio dopo il rientro sulla terraferma. Tra gli effetti sperimentati da Butch Wilmore e Suni Williams ci potrebbero essere anche i cosiddetti “baby feet”, i piedi da bambino.

A spiegare cosa sono i baby feet l'ex astronauta della NASA Leroy Russel Chiao, classe 1960. In un'intervista a NewsNation Prime, Chiao ha sottolineato che non è semplice riadattarsi alla gravità terrestre dopo una missione di lunga durata nello spazio, sottolineando che per lui l'esperienza era analoga a quella di una brutta influenza per un paio di settimane. I tempi di recupero per alcuni parametri fisiologici – come ad esempio la densità ossea – richiedono comunque molto tempo. Ma torniamo ai piedini da bambino. L'ex astronauta ha spiegato che fondamentalmente si perde la parte spessa della pelle. La pianta dei nostri piedi, per effetto della gravità, è infatti molto più spessa di quella di altre parti del corpo, dovendo sostenere il peso del corpo, la pressione e l'attrito senza naturalmente determinare dolore e fastidio a ogni passo. Poiché tuttavia in microgravità non ci sono le stesse sollecitazioni, si cammina molto poco e senza fatica, col passare del tempo lo strato calloso e corneo alla base dei piedi viene perduto lentamente, attraverso la naturale esfoliazione epidermica. Di fatto si perde il cuscinetto di pelle che ci permette di camminare normalmente senza soffrire. I piedi dei bebè sono privi di questo strato di pelle dura, che inizierà a formarsi con i primi passi.

Chiao ha spiegato a NewsNation Prime che lo strato dopo di pelle spessa si perde dopo sei mesi o un anno di permanenza nello spazio, lasciando i piedi morbidi e sensibili come quelli di un pupo. “Quando torni, hai un po' i piedi di un bambino”, ha sottolineato l'ex astronauta. Ricordiamo che le cellule dello strato più esterno dell'epidermide vengono rinnovate continuamente, in un ciclo che dura tra i 28 e i 40 giorni; lo strato calloso della pianta dei piedi impiega più tempo proprio perché in questa parte del corpo la pelle morta tende ad accumularsi, per formare lo strato spesso e robusto. Insomma, con questi piedini da bambino ultrasensibili, i primi tempi per i due astronauti saranno probabilmente complicati. Possono comunque volerci settimane o mesi prima che si formi un nuovo strato calloso grazie alla gravità terrestre.

I baby feet sono solo uno dei tanti effetti che il volo spaziale determina sul corpo umano. Uno studio dell'Università di Calgary ha determinato che le missioni di lunga durata “fra le stelle” provocano la perdita di decenni di massa ossea. Anche la massa muscolare va incontro a un rapido deperimento (fino all'atrofia) ed è per questo che gli astronauti devono fare continuamente attività fisica. Altri studi hanno rilevato problemi molto più seri, come la presenza di mutazioni nel sangue legate a cancro e malattie cardiovascolari, così come lo sviluppo di danni ai reni severi. Secondo i calcoli degli esperti, gli astronauti in viaggio verso Marte potrebbero aver bisogno della dialisi una volta al rientro sulla Terra (se sopravvivono, visti i rischi della prolungata esposizione alle radiazioni). Anche per questo in molti non sono convinti che si riesca a conquistare il "Pianeta Rosso" entro il prossimo decennio. Proprio per studiare gli effetti delle missioni spaziali sul corpo umano, l'ESA ha recentemente coinvolto 20 volontari nello studio Vivaldi III; i partecipanti vengono pagati 5.000 Euro per stare sdraiati 10 giorni e sottoporsi a vari esami medici.

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