Mentre eravamo distratti è iniziata l’era del Tecnofascismo

Dopo la vittoria di Donald Trump i miliardari della Silicon Valley si sono messi in fila davanti a Mar a Lago. Quella che potrebbe sembrare una corte opportunista basata sugli interessi aziendali per ingraziarsi il neo presidente, nasconde in realtà un’unione ben più inquietante. Il flirt con il potere dura da secoli, gli stessi Ceo della Valley avevano marciato come pecorelle verso la Trump Tower nel 2016. Eppure otto anni dopo succede qualcosa di molto diverso. Perché il mondo digitale non basta più. I Titan vogliono governare anche quello reale, il prezzo da pagare è riportare Trump al potere ma non è un sacrificio troppo amaro per la Silicon Valley, anzi.
Sotto la sua patina progressista fermentano infatti da decenni atteggiamenti misogini, razzisti e reazionari. Il marcio è alla radice. E proprio su questo terreno fertile che si incontra la visione politica di Trump (e di tutta la frangia estremista) con le aspirazioni dei pionieri tech. Perché la Silicon Valley ha una sua ideologia politica in ascesa ed è il momento di chiamarla con il suo nome: tecnofascismo.
Le origini del tecnofascismo
La reputazione progressista della Silicon Valley è immeritata. D’altronde la Valle di Santa Clara è stata l’ultima frontiera della vecchia corsa all’oro. Lì uomini bianchi nel XX secolo si sono arricchiti scavando nella terra, lì sempre uomini bianchi, hanno costruito la culla dell’impero tech occidentale. I primi avvertimenti sul tecnofascismo sono stati lanciati già negli anni ‘90, come ha sottolineato la ricercatrice Becca Lewis. Lo scrittore Michael S. Malone infatti descriveva la Silicon Valley come una “una rivoluzione digitale che butta fuori i deboli e i feriti” in un articolo intitolato “Dimentica l'utopia digitale…potremmo dirigerci verso il tecnofascismo”.
E a ragione. Sempre negli anni ‘90 infatti George Gilder, conservatore e provocatore anti-femminsita pubblicava un articolo intitolato: “La femminuccia della Silicon Valley". Con un testo infuocato accusava l'industria hi-tech di essere caduta vittima della femminilizzazione e del politicamente corretto. La soluzione al problema, si legge, è la riaffermazione di un vecchio e glorificato approccio "anti-pussy" al business.
Le filosofie pericolose della Silicon Valley
Gilder non è stato il primo né a celebrare la figura culturale dell'imprenditore, né a collegarla al culto della mascolinità. Come dimostrato dal sociologo Michael Kimmel, il mito del "self-made man" è legato saldamente alla virilità da quasi 200 anni. Come il concetto di superuomo e la tesi del dominio delle élite.
La Silicon Valley non fa altro che scavare e recuperare. I Titan sono affascinati dalle tesi dei pensatori reazionari del passato. Marc Andreessen (l’uomo che guadagnò 58 milioni di dollari in una notte) è un fan dichiarato del futurismo più estremo. Peter Thiel, presidente di Palantir Technologies, ha consumato i testi di Julius Evola, filosofo italiano ultrareazionario, vicino al nazismo e al fascismo.
Tra le principali tesi di Evola c’è la creazione di una società guidata da uomini superiori. Il suo libro, Cavalcare la tigre, secondo Thiel, è “una cartina tornasole per un mondo senza compromessi con i valori democratici”. Anche Steve Bannon, ex stratega di Trump, ha ammesso di aver fatto leggere Evola a tutto il suo team.
Geni, parassiti e democrazia
Evola non è un caso isolato. La maggior parte dei testi sacri della Valley insistono sulla dicotomia geni-parassiti, tra questi The Sovereign Individual di James Dale Davidson e William Rees-Mogg e La Rivolta di Atlante di Ayn Rand (citato più volte da Musk, Thiel e Travis Kalanick). Gli autori immaginano una società divisa tra "creatori" – uomini straordinari che trainano il progresso – e "parassiti" – la massa che vive sfruttando il loro genio. I miliardari vengono paragonati persino agli dei dell'antica Grecia. Una filosofia che giustifica la disuguaglianza come conseguenza naturale e inevitabile.
E se da un lato si esalta la tecnocrazia, dall’altro si demolisce la democrazia. Per farlo si legge Oswald Spengler, Carl Schmitt, ovviamente Nick Land. È considerato il padre dell’accelerazionismo di destra e profetizza il collasso della società moderna a favore di un nuovo ordine. Viene letto e riletto nei circoli neo reazionari della Silicon Valley, per esempio quelli vicini al movimento NRX, Neoreactionary Movement, di Curtis Yarvin (movimento finanziato da Thiel). L’ultima versione dell'accelerazionismo di Land promuove tesi razziste, che a partire dal 2016 sono state rivendicate dai movimenti alt-right e dai suprematisti bianchi.
Merita infine di essere citato anche Imperium di Francis Parker Yockey (testo del 1948, semi-sconosciuto al grande pubblico) è considerato uno dei manifesti del neofascismo intellettuale. Yockey propone infatti un’élite tecnocratica al potere, lontana dal liberalismo e dalla democrazia. La lista è lunga, ma ci fermiamo qui.
Un copione già scritto
I titani tech sono cresciuti in questo calderone ideologico. Non c’è da stupirsi quindi se Zuckerberg sponsorizza nel podcast di Joe Rogan l’“energia mascolina” nella cultura aziendale della Silicon Valley, o se Google taglia i programmi di inclusione e diversità. Questo slittamento reazionario della Silicon Valley non è un'anomalia, piuttosto l’evoluzione naturale di quella ideologia californiana (come l’hanno battezzata i teorici dei media britannici Richard Barbrook e Andy Cameron) che mischia neo-liberalismo di destra, contro-cultura radicale e determinismo tecnologico.
L’appoggio della Silicon Valley a Trump è mosso da un lato dalla convenienza (sono uomini che vogliono essere liberi di arricchirsi il più possibile, i principi democratici sono di intralcio) dall’altro da un’ideologia condivisa.
Verso il tecnofascismo
"Muoviti velocemente e rompi le cose”, è uno dei mantra della Silicon Valley. Un aforisma sinistro che applicato all’interno del nostro sistema democratico diventa terrificante. L'influenza di Silicon Valley sta riprogettando la società in profondità, più di qualsiasi altro centro di potere in qualsiasi altra epoca. Eppure è un cambiamento che passa in sordina, silenziato dalla convinzione che la tecnologia sia neutra. È l’assunto base dei tecnocrati, quello che ha permesso di considerare il progresso la chiave per migliorare il mondo.
La tecnologia però non è mai neutra. È plasmata a immagine e somiglianza dei suoi creatori, dei contemporanei che hanno occupato la Silicon Valley. Quelli che parlano di costruire città stato indipendenti con governance a prova di legge. Ed è qui che il tecnofascismo prende forma.