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L’ascesa del dark woke negli Stati Uniti: ora la sinistra si sporca le mani con i meme

Il dark woke segue la legge delle antica strategia militare, come scriveva Sun Tzu ne L’arte della guerra, la miglior difesa è l’attacco. Eppure è un fragile patchwork a formato tweet che rischia di ridurre il dibattito politico a un meme, e questo è un problema.
A cura di Elisabetta Rosso
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"Mia nonna ha votato per Trump, quindi mi sono assicurato che cadesse dalle scale". Potremmo riassumere così il dark woke, la faccia oscura della sinistra che sta cercando in tutti i modi di sopravvivere in un mondo dove il politicamente scorretto fa ridere e vincere le elezioni. Sui social l'hashtag è virale, sono comparsi meme contro Donald Trump e J.D. Vance, e i deputati democratici stanno postando parolacce su X. Negli Stati Uniti la sinistra è in crisi, la sua strategia di comunicazione non funziona e allora guarda a destra e imita. 

Con il dark woke la sinistra si sporca, adatta i suoi contenuti al linguaggio di destra. Trolling, memificazione, ironia scorretta per parlare alla pancia dell'elettorato, è una strategia delle "viscere". Si abbandona infatti il sogno di educare l'elettorato, piuttosto l'obiettivo è ridicolizzare il nemico, neutralizzarlo a suon di meme satirici.

D'altronde come ha spiegato il giornalista Ezra Klein "Trump è disinibito e questo è stato il motore del suo successo. È magnetico e avvincente su un palco e dice cose che altri non direbbero ". La spregiudicatezza spiega Klein, è la caratteristica principale di Trump che ha contaminato l'universo Maga. E non solo a quanto pare.

L'origine del dark woke coincide con un post di Alexandria Ocasio-Cortez. La deputata democratica ha definito Donald Trump uno stupratore. A chi l'ha criticata ha risposto "Oh ti ho irritato? Piangi ancora di più". Il post è diventato virale con oltre 17 milioni di visualizzazioni e sui social è comparso l'hashtag Dark Woke. L'idea di fondo del dark wokeism stava fermentando da tempo, basti pensare al meme Dark Brandon, l'ater ego cattivo di Biden diventato virale sui social nel 2024.

In realtà alcuni candidati democratici come Jasmine Crockett, Chris Murphy, John Fetterman e anche Ocasio-Cortez, hanno scelto strategie di comunicazione più aggressive, imprecano su Fox News, insultano gli avversari. Ora questa frangia si sta radicalizzando. Non stupisce, anche grazie al politicamente scorretto Trump ha vinto il secondo mandato.

Il successo della battaglia antiwoke, e di contro il fallimento della comunicazione a sinistra, dipende anche dai social. O meglio dalla dipendenza della politica dalle piattaforme. Sono la nuova arena che raggiunge la fetta più ampia di elettorato. Sui social gli algoritmi premiano i contenti polarizzanti, che creano dibattito e al tempo stesso chiudono gli utenti dentro eco chamber. Puntano su un linguaggio di pancia, semplice, diretto, che non implichi uno sforzo d'attenzione e che possa essere ridotto a un meme. Questo la destra di Trump l'ha capito.

Al momento il dark woke è un fenomeno squisitamente americano, ma come recita un vecchio detto, quando l’America starnutisce, l’Europa prende il raffreddore. Potrebbe quindi essere solo questione di tempo. È una buona tendenza? Non proprio.

Il dark woke segue la legge delle antica strategia militare, come scriveva Sun Tzu ne L’arte della guerra, la miglior difesa è l'attacco. Per Shakespeare era combattere il fuoco con il fuoco, per Ippocrate il simile con il simile. Eppure il dark woke e un fragile patchwork a formato tweet che rischia di ridurre il dibattito politico a un meme. E se da un lato la sinistra deve smetterla di confondere l'inazione con la civiltà, dall'altro può trovare qualcosa di meglio dei troll volgari. Il dark woke è un rebranding. C'è bisogno di una nuova idea.

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Nata ad Asti nel 1996, sono giornalista e musicista. Scrivo di intelligenza artificiale, crypto, e cyber security per la sezione Innovazione di Fanpage. Ho collaborato con La Stampa, Tgcom24, Rolling Stone e Linkiesta. A giugno e agosto 2022 sono stata in Ucraina per raccontare le storie dei profughi di guerra.
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