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Approvato negli Stati Uniti un antidolorifico non a base di oppioidi: è il primo in venti anni

Il nuovo farmaco, la suzetrigina, è il primo antidolorifico approvato dalla Food and Drug Administration in venti anni non a base di oppioidi, la classe di farmaci utilizzati per alleviare il dolore acuto, ma nota per il rischio di creare dipendenza nei pazienti.
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Dopo venti anni la Food and Drug Administration, l'ente regolatore negli Stati Uniti per i prodotti farmaceutici e alimentari, ha approvato il primo antidolorifico per dolori acuti non a base di oppioidi. Si chiama suzetrigina, è prodotta da Vertex Pharmaceuticals ed è venduta con il nome commerciale di Journavx a un prezzo di listino di 15,50 dollari a pillola.

L'introduzione di questo nuovo farmaco segna un momento importante nella storia di questo settore farmaceutico soprattutto a fronte dei noti problemi di dipendenza che i farmaci oppioidi possono creare. Rientrano in questa categoria, per citare i più conosciuti, il fentanyl, la morfina, il metadone, l'ossicodone e la codeina. Secondo i ricercatori che hanno prodotto il nuovo antidolorifico, quest'ultimo potrebbe essere infatti il primo di una nuova generazione di analgesici che non creano dipendenza.

Il problema della dipendenza

La ricerca per approdare al nuovo antidolorifico è stata lunga – è iniziata infatti a fine degli anni '90 – ma partiva da un problema che non può essere trascurato: i farmaci oppioidi sono una categoria di farmaci derivati dal papavero da oppio (comprese le varianti sintetiche) utilizzati con azione antidolorifica, ma presentano il rischio di generare dipendenza perché, oltre ad alleviare il dolore, producono un "esagerato senso di benessere". È bene specificare che oggi l'emergenza non dipende tanto dall'uso medico – l'assunzione per bervi periodi e sotto supervisione medica porta raramente alla dipendenza – ma dal traffico illegale che ha iniziato a sfruttare queste sostanze come nuove droghe.

Secondo David Altshuler, responsabile scientifico di Vertex, circa 85.000 persone all'anno diventano dipendenti dopo aver assunto un oppioide su prescrizione. Sebbene, come spiega il New York Times, si tratti di una piccola percentuale a fronte dei 40 milioni di oppioidi prescritti ogni anno per il dolore acuto in seguito a interventi chirurgici, incidenti o traumi, resta comunque un numero importante di persone che si trovano a fare i conti con un problema di dipendenza.

Come funziona il nuovo farmaco

Ma come riesce la suzetrigina a spegnere il dolore acuto eliminando del tutto il rischio di dipendenza? La novità di questa sostanza sta nel fatto che agisce soltanto sui nervi esterni del cervello, senza quindi andare ad agire su quest'ultimo. L'intuizione di un farmaco che agisse sui nervi esterni non sarebbe stata possibile senza la scoperta realizzata da un ricercatore di Yale, Stephen Waxman, sui meccanismi che regolano la percezione del dolore. Le cellule nervose segnalano il dolore attraverso nove canali del sodio, ovvero proteine trans-membrana (cioè che attraversano la membrana cellulare) che inviano dei segnali elettrici. Tuttavia Waxman scoprì che due di questi sono collocati esternamente al cervello, Nav1.7 e Nav1.8, di cui il primo, il Nav1.7, sembra agire da "miccia" – ha dettolo lo scienziato – attivando quindi il dolore. Mentre gli oppioidi riducono il dolore legandosi direttamente ai recettori del cervello che ricevono segnali nervosi da diverse parti del corpo, il nuovo farmaco blocca invece queste proteine esterne da cui parte lo stesso segnale del dolore.

Gli  studi effettuati sul nuovo farmaco, condotti su pazienti che erano stati sottoposti a interventi chirurgici al piede e all'addome, hanno dimostrato che la suzetrigina è stata più efficace di una pillola placebo con cui era stata confrontata, ma comunque il suo effetto è stato inferiore a quella dei comuni antidolorifici a base di oppioide e paracetamolo. Tuttavia l'aver individuato un meccanismo d'azione diverso da quello su cui si basano gli oppioidi rappresenta comunque una scoperta molto promettente, ha spiegato all'Associated Press Michael Schuh, un esperto di medicina del dolore della Mayo Clinic che non ha preso parte alla ricerca.

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