Siamo vicini al primo farmaco in grado di proteggere la memoria nei malati di Parkinson: come funziona
La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa che causa rigidità, tremori e difficoltà nei movimenti o nella tenuta dell'equilibrio. Tuttavia, chi è affetto da questa patologia sviluppa spesso anche disturbi cognitivi, che sul lungo periodo possono degenerare in una forma di demenza. Se per i sintomi motori esistono dei farmaci in grado di controllarli, il declino cognitivo spesso associato alla malattia di Parkinson è tutt'ora privo di un trattamento efficace.
Le cose però potrebbero presto cambiare. O almeno è quello che spera il gruppo di ricercatori della Facoltà di Medicina dell'Università dell'Arizona attualmente al lavoro per trovare un farmaco in grado di bloccare la neurodegenerazione e i sintomi cognitivi associati al Parkinson, ancor prima che si sviluppi la demenza vera e propria. Secondo le loro statistiche, al momento della diagnosi dal 25% al 30% dei pazienti ha una lieve compromissione cognitiva, ma sul lungo termine i sintomi cognitivi si presentano in oltre metà dei pazienti. Vi lasciamo un approfondimento sulla differenza tra la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza.
Il ruolo dell'infiammazione cerebrale
Ora, in un articolo pubblicato sulla rivista Experimental Neurology, gli autori dello studio svelano di essere sulla strada giusta: avrebbero trovato un farmaco potenziale che in base a quanto emerso negli esperimenti su topi si è rivelato in grado di invertire il declino cognitivo e ridurre l'attività di alcune cellule del cervello, la microglia, che nel Parkinson viene prodotta in eccesso, contribuendo – suppongono i ricercatori – alla neuro-infiammazione tipica della malattia.
La sostanza chimica, PNA5, da cui i ricercatori sperano di produrre un farmaco capace di bloccare il declino cognitivo nella demenza da Parkinson – e non solo – è stata sviluppata a partire da una sostanza chimica che il corpo produce naturalmente a cui sono state apportate delle piccole modifiche.
Come può agire il nuovo farmaco
I risultati ottenuti nei test condotti finora fanno ben sperare: in un cervello sano le cellule della microglia, in quanto cellule immunitarie, cercano – spiegano gli autori – virus o lesioni e secernono sostanze che bloccano il danno, ma nella malattia di Parkinson la microglia dà luogo a un'iperattività immotivata "che può causare ulteriori danni al tessuto circostante, soprattutto nelle regioni associate al declino cognitivo". Questa sovrapproduzione sarebbe collegata all'infiammazione cerebrale propria della malattia di Parkinson.
Tuttavia, dopo il trattamento con PNA5, i ricercatori hanno osservato una visibile riduzione dei livelli di infiammazione e una conseguente ridotta perdita delle cellule cerebrali. In base a ciò hanno ipotizzato quindi che PNA5 sia in grado di controllare la risposta immunitaria in eccesso della microglia e riportarla a livelli normali, attribuendo alla sostanza una funzione protettiva sulle cellule cerebrali.
Ovviamente la strada verso l'introduzione di un nuovo farmaco è lunga e prevede diversi step. Ora i ricercatori hanno spiegato che dovranno fare altre ricerche e test, capire gli eventuali dosaggi sicuri e indagare le eventuale differenze tra i due sessi. Ciò non toglie che "PNA5 sembra poter fermare o ritardare in qualche misura la progressione del Parkinson, migliorare la salute delle cellule cerebrali e bloccare il processo che ne causa la morte", spiegano i ricercatori.