Qualche anno fa capitò di imbattermi in una videointervista di Malcolm X del 1963 all'Università di Berkeley, California, in cui il leader afroamericano rispose a una domanda sulla violenza in tono pacato ma netto: "Non abbiamo mai iniziato uno scontro, ma se qualcuno ci attacca abbiamo il diritto di difenderci".
Ecco. Si potrebbe dire che la struttura retorica e senza fronzoli dei discorsi di Malcolm X, quel tono severo, ieratico e ricco di formule rituali, si è riversato in prosa dentro questo libro-confessione, scritto sotto forma di lettera al figlio quindicenne, dello scrittore e giornalista Ta-Nehisi Coates (Codice Edizioni, pp. 207, euro: 16) tradotto in italiano col titolo "Tra me e il mondo", vincitore del National Book Award 2015 per la non-fiction.
Non potrebbe essere altrimenti, visto che Malcolm X è decisamente presente nella formazione del giovane Coates (nato nel 1975 a Baltimora), di cui è stato a lungo l'eroe personale, come si evince dalla lettura del libro. Un discorso di poco più di duecento pagine che da un lato si dipana come un saggio, dall'altro come un romanzo di formazione, richiamandosi idealmente a "The fire next time" dello scrittore americano e attivista dei diritti civili James Baldwin, che nel 1963 Feltrinelli tradusse col titolo "La prossima volta-Il fuoco: due lettere”.
La vera novità di "Tra me e il mondo" nel raccontare la brutalità di un'intera nazione sul corpo dei neri sta nella prosodia leggermente hip-hop che va ad aggiungersi al ritmo da classico oratore afroamericano, spingendo l'autore nel ruolo di cantore consapevole della sua epoca, figlio di una stagione ormai passata e cinicamente disilluso sulle reali possibilità di chiudere definitivamente con il razzismo negli Stati Uniti. Ed è per questo che le parole di Ta-Nehisi Coates arrivano al lettore precise, levigate e appuntite come pietre, senza nessuna possibilità di vaghezza:
Non dimenticare che in questo Paese siamo stati schiavi più a lungo di quanto siamo stati liberi.
C'è poi, dentro le pagine di questo libro, un senso di profonda preoccupazione per il futuro, di sapere i propri figli in balia di un mondo ingiusto, dominato dai bianchi e dalle loro forze di polizia. Qui la scrittura di Coates diventa quella di un padre che, come tutti i padri del mondo, è scisso tra un'analisi oggettiva della realtà e la disperata speranza di trasformarla in meglio. Ed è proprio "il Figlio" il destinatario della lettera di Coates, interlocutore reale (ma potrebbe anche essere del tutto immaginario) a cui si rivolge l'attento carotaggio dell'autore nella misurazione dello spazio esistente "tra me e il mondo":
Ti scrivo nel tuo quindicesimo anno. Ti scrivo perché questo è l'anno in cui hai visto Eric Garner morire soffocato per aver venduto delle sigarette: perché ora sai che Renisha McBride è stata colpita da un proiettile mentre chiedeva aiuto, che a John Crawford hanno sparato perché dava un'occhiata agli scaffali del supermercato. E hai visto uomini in uniforme sparare dall'auto e uccidere Tamir Rice. (…) Così ora sai, se non l'avevi già capito prima, che alla polizia del tuo Paese è stata conferita l'autorità di distruggere il tuo corpo.
A mio avviso, stiamo parlando di un libro fondamentale per capire ciò che sta accadendo negli Stati Uniti oggi, dove alcuni poliziotti ammazzano i neri e alcuni neri ammazzano i poliziotti. Un libro scritto con la forza e la durezza di un discorso di Malcolm X, dove i pensieri e le parole mettono a disagio anche il più illuminato dei bianchi. E accade lì, nel paese dove la cronaca rimbalza ogni giorno notizie di una guerra civile a basso voltaggio, accade lì nel paese della schiavitù e del primo presidente nero, nella terra delle armi diffuse e del Sogno (quello classico americano, di un benessere che si nutre dei suoi status da casetta con giardino e barbecue). Tutto ciò, secondo Coates, ha delle conseguenze sui corpi, il vero problema di ogni ragazzo nero d'America.
Ora ti dico che il problema di come si debba vivere dentro un corpo nero, all'interno di una nazione perduta nel Sogno è il dilemma della mia vita.
L'aspetto a mio avviso davvero interessante di questa non-fiction è il procedere sì per reiterazioni, ma anche per strappi narrativi che portano l'asticella della comprensione sempre un passo più in là. Si arriva quindi, all'interno di questo ‘saggio di formazione', a terribili scoperte, come quella secondo cui la vera storia è quella dell'Occidente, cognizione che a un giovanissimo Coates diviene improvvisamente chiara grazie a una frase di Saul Bellow letta da qualche parte.
Chi è il Tolstoj degli zulu? si chiedeva Bellow. Tolstoj era "bianco", dunque "contava" molto, come tutto ciò che è bianco.
Parecchie pagine più in là, invece, seguendo il punto di vista del narratore, si arriva a mettere in discussione quella frase dell'autore di "Herzog" assunta a simbolo dei fondamenti razzisti della cultura Usa. E l'autore ci giunge sempre attraverso un libro, stavolta uno scritto di Ralph Wiley, in cui si dice che Tolstoj è il Tolstoj degli zulu, il che fa tutta la differenza del mondo quando si tratta di provare a scardinare la barriera che qualcun altro ha messo tra te e il mondo.
La stessa barriera che impedisce a Coates di empatizzare con la grande tragedia nazionale, quella dell'undici settembre 2001, che nel mood celebrativo della New York sconvolta dagli attentati al World Trade Center non riesce proprio a entrare, sentendosi a disagio nel mitizzare la figura del vigile del fuoco così come ci è stato proposto. È un ritratto interessante, finalmente non retorico, dell'undici settembre. Per la prima volta da quando ho memoria, un autore americano osa guardare a quei giorni con un disincanto al limite dello sprezzo.
Tutti conoscevano qualcuno che conosceva qualcuno che era disperso. Ma mentre il mio sguardo spaziava sulle rovine dell'America, il mio cuore restava indifferente. Avevo già i miei disastri a cui pensare.
Queste sono soltanto alcune delle tracce bibliografiche ed emotive di cui è costellato il libro di Ta-Nehisi Coates, insolito mélange di riferimenti letterari, storici e narrativi, il cui successo di questi mesi è testimoniato anche dal fatto che l'autore è stato scelto per la sceneggiatura del fumetto "Black Panter". Su tutte, leggendo il volume, emergerà la vicenda di Prince Jones, giovane coetaneo di Coates tragicamente ucciso dalla polizia e dalla cui madre (ancora una volta la genitorialità come specchio della propria condizione) il narratore tornerà a distanza di anni. Ed è proprio alla descrizione di Prince Jones e del suo corpo nero a cui Coates riserva alcune delle pagine più riuscite di "Tra me e il mondo", sciogliendo il tono fiero e duro nel topos letterario dell'amicizia e dell'innocenza perduta:
Ci sono persone che non conosciamo a fondo, e che tuttavia sentiamo vicine, in un posto caldo dentro di noi, e quando vengono massacrate, quando perdono il loro corpo e la loro energia nera si disperde, è allora che quel posto diventa una ferita.